Bio e Natura 13/11/2018

Le foreste del Veneto al suolo: possibili soluzioni per fronteggiare l'emergenza

Dalla rimozione del legname, in non più di tre anni, fino alla ricostruzione del nuovo bosco. Ma c'è da intervenire su un'intera economia: il mercato ha reagito con cinica immediatezza e il prezzo del legname si è decurtato


Non esistono ricette universali. Nessuno saprà formulare un’unica soluzione pronta per essere applicata in serie e che possa risolvere la grave situazione ambientale ed economica creatasi per le piogge e il vento nelle Alpi orientali a fine ottobre 2018.

L’unica cosa che si può fare oggi è sfruttare le conoscenze e le competenze per adottare un mix di soluzioni ritagliate sui bisogni delle singole aree.

In pratica è quello che quotidianamente fanno i dottori Agronomi e Forestali.

Le origini del disastro

La causa dei vasti schianti nelle foreste del Nordest, nei media, è stata individuata nel fatto che le foreste messe a dimora circa un secolo fa fossero composte da abete rosso.

Vero è che le abetaie di abete rosso sono meno stabili comparati ai boschi più naturali, a conferma di ciò in alcune aree sono caduti abeti anche quando la forza del vento stava scemando. Ma il fatto che molti schianti siano avvenuti in boschi definiti “stabili” e “stabilissimi” significa che gli eventi sono stati talmente eccezionali, con piogge intense unite a raffiche di vento straordinarie per potenza e velocità, che poco si poteva fare contro la forza della natura.

Questo non è motivo per arrendersi al fato, ma deve essere stimolo per capire come intervenire oggi per ridurre i danni di domani. Se le condizioni eccezionali sono fuori portata, molto si può fare in casi di condizioni avverse gravi. Lo si può fare, per l’appunto, ripristinando i boschi che abbiamo perso, ma curando lo sviluppo di dinamiche ecologiche più naturali: in cui si trovano a convivere diverse specie, rispettando climi, altitudini e adattabilità delle varie piante.

Un problema complesso

I danni che hanno subìto le foreste del Nordest rappresentano un problema complesso per le molte componenti che si intersecano. È necessario avere uno sguardo d’insieme, che consideri e ponderi i diversi aspetti coinvolti.

C’è una componente economica, perché la massa legnosa disponibile ha già causato il crollo del prezzo del legname sul mercato. Ciò avrà impatti per lungo tempo su tutta l’area e su tutti gli operatori: sia chi ha il proprio bosco a terra sia coloro che hanno gli alberi ancora in piedi dovranno destreggiarsi in un mercato il cui valore del legno, pregiato o meno, si è decisamente ridotto.

C’è da considerare la messa in sicurezza dei pendii che vanno protetti da valanghe, frane, smottamenti, funzione che il bosco faceva e ora non può più fare.

C’è un problema fitosanitario, perché l’enorme quantità di legno divelto è pronto a divenire terreno fertile per lo sviluppo di malattie e parassiti, che possono rovinare la qualità del legno a terra ma anche indebolire i boschi in piedi e quelli che si ricostituiranno.

C’è una componente ambientale, perché il bosco è un ecosistema complesso in cui convivono specie vegetali e animali. Il disastro dei giorni scorsi ha impattato anche su habitat di pregio e zone che presentano specie floristiche e faunistiche uniche e questo valore ambientale dovrà essere considerato nel pianificare gli interventi tanto quanto la componente paesaggistica.

Cosa fare ora?

La prossima mossa sarà cercare le soluzioni più adatte per rimuovere quanto prima la gran parte del legname, almeno il 70% della biomassa, e comunque entro i prossimi 3 anni. Un’azione urgente che mira a evitare il diffondersi di parassiti e malattie.

Come detto, però, non si può fare ovunque con la stessa modalità ma bisogna determinare le priorità di intervento.

Ai dottori Agronomi e Forestali spetterà il compito di valutare dove è conveniente prelevare il legno, considerando tutte le variabili del contesto: i fattori di rischio per il pericolo di valanghe o frane, il valore di mercato e la qualità del legno a terra, l’accessibilità dell’area e i costi di prelievo, lo stato della sentieristica e della rete stradale di accesso, ecc.

Uno sguardo tecnico accorto sa, però, che non tutto il legno può essere prelevato. Nelle aree a rischio valanghe/frane, è più utile impiegare quello stesso legno a terra per stabilizzare il suolo con interventi di ingegneria naturalistica e edificare manufatti provvisori (rastrelliere, murature in legname e pietrame, ecc).

Un’economia spazzata

Chi conosce quelle montagne sa che nelle immagini dei versanti spazzati c’è tutta una filiera economica, quella della foresta-legno, che è caduta assieme agli alberi.

Il mercato ha reagito con cinica immediatezza e il prezzo del legname si è decurtato. Ciò vale per sia per il legno di pregio che per quello di minore qualità. E l‘impatto si riverbera anche su chi i boschi ancora in piedi e il cui profitto potenziale si è dimezzato in poche ore.

A ciò si aggiunge che la gran massa legnosa disponibile ha la necessità di trovare sistemi di stoccaggio e conservazione del legname, per evitare che si guasti e possibilmente cercando di allungare i tempi di vendita, per non impattare troppo sul mercato. E si dovranno trovare nuovi soluzioni di contrattazione e vendita per tutta questa legna che si è resa disponibile in un sol momento.

Infine, con lo sguardo rivolto al prossimo futuro, i vari protagonisti della ricostituita filiera foresta-legno non saranno più dipendenti dall’abete rosso ma dovranno sapere trarre il valore dalle diverse specie arboree presenti dei nuovi boschi rinati: faggio, larice, abete rosso, pino cembro e altre latifoglie, finanche ciliegio.

Ricostruire il bosco

La lezione imparata è che dobbiamo rispettare quanto più possibile le dinamiche ecologiche del bosco. I dottori Agronomi e Forestali, professionisti del territorio e profondi conoscitori delle caratteristiche biodinamiche delle specie forestali, sono in grado di valutare sito per sito quale sia la modalità di intervento più adeguata, sia sulla base delle caratteristiche dell’ambiente in cui si deve operare che di quelle di mercato, in modo da restituire ai nostri boschi una multifunzionalità ora a rischio, con un occhio attento alle valutazioni economiche e di mercato, così che gli alberi piantati possano generare valore per la filiera foresta-legno.

In alcune aree attigue a quelle in cui si interviene potrebbe essere utile lasciare il bosco a uno sviluppo naturale e che produca aree boscate “da seme”, non piantando nulla, ma monitorando l’evoluzione per potere intervenire in caso di necessità.

di C. S.