Bio e Natura 29/05/2015

Non fermare la ricerca agricola italiana, neanche sugli OGM

La scelta di non coltivare piante transgeniche in Italia ha imposto anche uno stop alla ricerca. Il rischio è essere costretti, tra anni, a dover importare conoscenze, oltre che sementi. La scienza deve continuare a lavorare in maniera indipendente?


Il 12 maggio 2015 al Senato delle Repubblica - sessione pomeridiana – si è discusso sul disegno di legge AS 1758 connesso alla Direttiva europea n. 412/2105 che lascia liberi gli Stati di scegliere - in autonomia - se coltivare o meno piante italiane geneticamente modificate.

La Senatrice a vita Elena Cattaneo – ricercatrice di altissimo livello professionale riconosciuto e prima firmataria dell'ordine del giorno – ha dichiarato di rendersi conto che in Italia discutere di OGM (Organismi Geneticamente Modificati) si scatenano riflessi condizionati di rifiuto perchè:
1- sono associati alle multinazionali;
2- sono riferiti alle grandi monocolture;
3- sono collegati ai rischi ignoti per la salute e l'ambiente;
4- sono esposti alla contaminazione delle coltivazioni tradizionali tipiche italiane.

Anche noi, spesso, siamo immersi in questi riflessi generici e discussioni pro e contro OGM richiamati dalla Senatrice a vita Prof.ssa Cattaneo, nel contesto della ricerca e innovazione teorica e applicata.

L'onorevole ricercatrice ha voluto, subito, evidenziare che tutte le piante sono state “geneticamente modificate” sin da quando l'uomo ha iniziato a domesticare l'agricoltura ed è da anni - ha rilevato - che con le biotecnologie nella ricerca e l'innovazione agraria tra piante della stessa specie, si“spostano” geni di interesse oppure si “spengono” geni in altra pianta per migliorarle ed anche per conferirle resistenze a parassiti favorendo – così operando – la riduzione dei trattamenti chimici con fitofarmaci e/o l'impiego di pesticidi.

Mediante questa tipologia “genetica di ricerca in campo” - ha chiarito la Senatrice - non viene introdotto nulla dall'esterno e questa tipologia di sperimentazione in campo aperto non è neppure associata a multinazionali.

Obiettivo della ricerca e innovazione agraria, quindi, proposto dalla Senatrice ed altri firmatari dell'ordine del giorno - presentato il 12 maggio 2015 in Parlamento - è chiaramente mirato al “miglioramento di specifiche piante italiane nel contesto europeo” che purtroppo conta, ad oggi, notevole ritardo con il blocco di studi sulla genetica delle nostre piante coltivabili - insieme agli agricoltori e tecnici - anche geneticamente modificate, innazituto, per capire il come evitare alle nostre specifiche altitudini peninsulari climatiche gli attacchi devastanti di parassiti e malattie e per concorrere a salvaguardare, con l'ambiente, la integrità e le tipicità delle piante italiane che, altrimenti e nel tempo continuerebbero, come già avviene, a estinguersi.

Nel Lazio, poi, per recuperare piante tradizionali in estinzione - da salvaguardare - queste possono essere segnalate alla struttura di agenzia tecnica regionale (ARSIAL) e, certamente, anche da essa assistite nella riproduzione possibile.

Tuttavia e per quanto mi è e ci è possibile conoscere, nel Lazio, non appare sostenuta la ricerca applicata nel campo specifico della ” genetica biotecnologica” tanto che la Senatrice Cattaneo ha voluto indicare - con il suo intervento svolto in Senato - anche lo scempio del giugno 2012 con la messa a rogo - bruciando - tutte le piante sperimentali (olivo, ciliegio e altre piante) attivate e coltivate con “ricerca pubblica” da giovani ricercatori, guidati dal Prof. Eddo Rugini, nell'azienda agricola universitaria di Viterbo.

Eppure era, quella, una mirata ricerca - autorizzata istituzionalmente da oltre 30 anni - per “conoscere e capire divulgandone i risultati” intervenendo geneticamente su quelle piante sia per migliorarle e salvaguardarle in campo e sia per verificare ogni possibile resistenza tanto agli attacchi di taluni parassiti quanto alla tolleranza in condizioni pedoclimatiche di siccità più che frequente nella tipica area peninsulare italiana.

L'emblematico ricordo laziale del 2012 sulla distruzione di quella pubblica “ricerca universitaria sperimentale in campo aperto” su piante italiane dovrebbe obbligare e dovrebbe obbligarci - a mio avviso – non solo a confermare ma a condividere con la Senatrice Cattaneo che con la distruzione di quella ricerca pubblica si preferì, ancora, che il progresso scientifico - impedendo e mortificando, peraltro, il diritto alle conoscenze - continuasse ad essere importato dall'estero in Italia.

In quel 2012, personalmente, sul giornale telematico Teatro Naturale del 16 giugno commentai l'articolo: “Olivi abbattuti senza pietà”evidenziando:
che ero tra i primi dieci sottoscrittori - degli oltre 1.200 - dell'appello pubblico ”Non distruggete la ricerca” e riconfermavo sia la mia piena solidarietà per il lavoro svolto dal Prof. Eddo Rugini dell'Università di Viterbo che il grave atto irriguardoso verso la ricerca scientifica per l'innovazione nel comparto agroalimentare italiano;
che era stato commesso un atto improvvido e prevalente dalla mediatica suggestione falsata degli OGM, nonostante costi pubblici sostenuti per anni da una ricerca autorizzata ma con assenza di risposte attese agli agricoltori e operatori tecnici agrari oltre che al mondo scientifico non solo italiano.

Proponevo di sostenere e convenire sia sulle modalità praticabili della ricerca agraria italiana nel contesto europeo che sulle ristrutturazioni delle sedi pubblico-private, essenzialmente, nei contenuti e risorse certe e disponibili, adeguate e mirate, verso il “ricostruire e non il distruggere la ricerca” nel comparto agroalimentare italiano.

Ed ecco, quindi, più che motivata la mia condivisione e mi auguro che non sia solo la mia adesione, ai quattro punti sintetizzati ed essenziali elencati nell'o.d.g. della Senatarice a vita Elena Cattaneo che mi permetto segnalare e che dovrebbe impegnare il Governo:
1- a rilanciare la ricerca biotecnologica agraria pubblica in Italia, recependo la Direttiva europea (VE) 2015/412 e disciplinando la ripresa delle sperimentazioni innovative in campo aperto;
2- a individuare sul territorio dei campi sperimentali di interesse nazionale – differenziate – per aree climatiche del nostro Paese;
3- all'assegnazione di finanziamenti specifici per la ricerca su piante e microrganismi utili in agricoltura con innovazioni sperimentali in campo;
4- all'attuazione della ricerca sulle piante geneticamente migliorate che si occupi:
a)- di piante transgeniche “esenti da brevetti delle grandi multinazionali sementiere” così da proteggere l'agroalimentare italiano;
b)- di piante e microrganismi utili per aumentare la fertilità dei suoli che hanno “ricevuto” geni da piante della stessa specie o piante con geni “spenti” della pianta stessa al fine di dotarle della capacità di resistere ai parassiti senza dover inserire geni estranei.

Il territorio di Ciociaria con il Lazio meridionale tra i fondo valle dalla marina Gaeta-Fondi alle colline di Lenola-Vallecorsa e da Boville Ernica - Veroli Ernici, verso Anagni-Piglio e fino ai Castelli romani – collegati alle Università di Cassino e Viterbo – con la Organizzazione Produttori “Le Badie Lazio” e le piccole e medie imprese agricole aggregate e guidate, preferibilmente, da giovani imprenditori – si candida quale “luogo territoriale sperimentale di ricerca agraria in campo” di interesse regionale e nazionale.

di Donato Galeone

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 1

angelo minguzzi
angelo minguzzi
31 maggio 2015 ore 17:34

Condivido totalmente le considerazioni espresse nell'articolo di Donato Galeone.
Mi rendo conto che, in questo modo, non aggiungo un grande contributo al dibattito.
Auspico, tuttavia, che chi vorrà commentare l'articolo di Galeone, con interventi più argomentati, lo faccia riprendendo punto per punto le argomentazioni esposte da Galeone e con la stessa concretezza propositiva.
Angelo Minguzzi