Quo vadis 31/01/2014

Ecco come due prodotti del territorio sono diventati portabandiera nazionali

Grano padano e Mortadella di Bologna raccontati con una viaggio nella loro storia. Dal locale al globale il percorso è stato molto lungo, non senza incidenti lungo il tragitto. Dal Medioevo a oggi sono cambiati anche i gusti. Come abbinare queste due prelibatezza?


Si è tanto parlato in questi ultimi mesi di sicurezza alimentare, della necessità di tutelare, e valorizzare le nostre eccellenze Made in Italy, di difenderle con i denti da taroccature e contraffazioni meschine.
Abbiamo assistito ed assistiamo a proteste bellicose, ad imponenti manifestazioni di massa come quella di Natale sul Brennero al grido “Scegli l’Italia”, ad una crescente preoccupazione delle famiglie italiane sul fatto che i propri cari consumino inconsapevolmente alimenti dalla dubbia qualità, senza una garanzia d’origine, spacciati molte volte come italiani.
Ma in questo clima di tensione, per stemperare gli “impulsi roventi”, ho deciso di dedicare questo piccolo spazio che ho a disposizione, alla narrazione di una storia, conducendo le menti in un viaggio nel gusto di due simboli dell’agroalimentare nostrano: il Grana Padano Dop e la Mortadella Bologna Igp.

Un viaggio lungo, lunghissimo, millenario: millenaria è infatti l’età di questi due gioielli della terra.
Due prodotti, due metodologie di lavorazione uniche che si sono tramandate nei secoli, che sono parte integrante del nostro territorio e in certo senso anche di noi stessi.

Partiamo dalle origini, dalle nostre campagne. È l’inventiva - dei monaci benedettini, ma anche di gente comune – ad essere l’attrice protagonista.

Per quanto riguarda il Grana Padano, per ricostruire la sua storia dobbiamo ridiscendere agli inizi del secondo millennio, siamo nel 1135. I monaci - dopo i secoli cupi dell’alto Medioevo, con il paesaggio caratterizzato per lo più da boschi che prevalevano su un’agricoltura in affanno – fondano in area padana nuove abbazie, avviano imponenti opere di bonifica dei terreni, implementando coltivazioni di cereali e il diffondersi di consistenti allevamenti di bestiame.
Ne seguì che l’abbondante produzione di latte vaccino superò ben presto il fabbisogno delle popolazioni locali. Ed allora, in una borgata del lodigiano, nell’abbazia di Chiaravalle, i monaci elaborarono una strategia per conservare tutta quella preziosa eccedenza. Cercarono di produrre un derivato dalla lunga conservazione, ma comunque fresco e deteriorabile.
Nacque così il formaggio Grana. Un prodotto unico, che stagionando conserva i principi nutritivi del latte, col suo sapore inconfondibile, dolce e saporito allo stesso tempo, fragrante, delicato e profumato.
I monaci lo chiamarono Caseus vetus, formaggio vecchio. Ma al popolino che non parlava l’aulico latinorum, veniva spontaneamente da chiamarlo Grana, per via della sua consistenza compatta e granulosa, che si differenziava dagli altri formaggi.

Passando alla Mortadella Bologna, ricorderei in primis come questo pregiato prodotto di salumeria - dal sapore unico, vellutato e intenso, con un bouquet di profumi davvero originale - ha un vissuto storico più controverso e incerto. A partire dall’origine del nome; secondo taluni studiosi infatti Mortadella deriverebbe da mortarium (mortaio, l'utensile usato per schiacciare la carne). Altri ritengono invece che provenga da mortarum (una salsiccia aromatizzata con bacche di mirto), altri ancora da murtatum “carne tritata nel mortaio”.
Le origini della“Bologna” – così come viene conosciuta in tutto il mondo - risalgono anch’essi all’età di Mezzo: nei territori dell’antica Felsina etrusca, una terra ricca di querceti che forniva ghiande per l’alimentazione dei numerosi maiali locali, addomesticati o bradi.
Mitico è l’aneddoto del 1706. Si narra di un tale Jean-Baptiste Labat, missionario francese studioso di etnografia, che durante il ritorno in Francia da uno dei suoi numerosi viaggi, si fermò per caso a Bologna. Gli capitò di assaggiare il celebre salume, rimase davvero colpito dal suo sapore particolare e tipico…tanto che si volle informare dai locali sui metodi di produzione e sugli ingredienti utilizzati per la sua preparazione; ma i bolognesi, gelosi del proprio prodotto, difesero il segreto professionale, facendogli credere che fosse prodotta da carne di asino. Un chiaro esempio di “orgoglio del produttore”, che rientra appieno nel concetto moderno di Genius loci, considerata la variante italiana del concetto di terroir.

Dal locale al globale. La celebrità di questi due prodotti varcò subito i confini locali, poi lombardi e padani, fu una crescita inarrestabile. Divennero nel tempo i più copiati ed invidiati.
Ciò verrebbe confermato da numerose testimonianze. Per il Grana si sarebbero conservate documentazioni del XIV secolo, che attesterebbero la sua fama ampiamente consolidata ben oltre i confini della sua zona di produzione originaria. La sua presenza divenne inossidabile, interclassista, lo ritroviamo difatti presso i favolosi banchetti delle sfarzose corti rinascimentali, ma anche negli anni delle carestie a sfamare le genti delle campagne, assicurando loro il sostentamento.
Con il passare dei secoli la pratica della trasformazione del latte in “Grana” si diffonde al punto da trasformarlo in uno dei pilastri dell’economia agricola. La tradizione produttiva del Grana Padano si è tramandata nei secoli secondo metodologie invariate che assicurano ancora oggi al prodotto le caratteristiche organolettiche e l’aspetto che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
Per la Mortadella il percorso di standardizzazione della tecnica di produzione è stata molto più lunga, un labirinto tortuoso fatto di continue migliorie ed affinamenti, frutto dell’esperienza quotidiana. Cosicché tra il XVI e il XVIII secolo, si affermò come prodotto raffinato, di classe utilizzato dai grandi Chef dell'epoca e servito sulle tavole dei banchetti delle famiglie nobili e benestanti della Città. Ma il suo nome compare già diffusamente nei libri di cucina italiani e non del ‘300.
Una data importantissima per la Bologna è il 1616, quando il cardinale Girolamo Farnese fece emanare un bando che impediva la produzione di mortadella con carni diverse da quelle di maiale.
Questo provvedimento, secondo taluni, può essere considerato a tutti gli effetti come il primo emanato in Italia a tutela di una specialità gastronomica, per contrastare i crescenti tentativi di quella che oggi definiremo sofisticazione…una sorta di capostipite dell'attuale disciplinare di produzione. 
Per il Grana Padano una tale convenzione si concretizzò solo molto tempo dopo: dobbiamo risalire la storia, fino al 1951; anno in cui a Stresa venne siglato da tecnici ed operatori del settore un accordo con il quale si fissarono norme precise in tema di denominazioni dei formaggi, con indicazioni di dettaglio sulle loro caratteristiche.
In seguito, il 30 ottobre 1955 fu emanato il dpR n. 1269 "Riconoscimento delle denominazioni circa i metodi di lavorazione, caratteristiche merceologiche e zone di produzione dei formaggi"… ivi compreso il Grana Padano. Nel 1996 il Grana Padano ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta da parte dell'Unione Europea.

Abbinamenti “da manuale”. Concluderei questo viaggio “ardito”, sbizzarrendomi con gli abbinamenti. Come degustare amabilmente questi nostri due prodotti portabandiera? Vi propongo una “perla di alta ristorazione”. Viste e considerate infatti la discreta salinità e la saporosità globale di entrambi, credo che si sposino alla perfezione con la tendenza dolce degli amidi del pane. Cosa c’è di meglio allora di buon panino alla Mortadella con scaglie di Grana? Un abbinamento irresistibile, capace di stimolare la classica “acquolina”. Per il vino libera scelta, l’importante che sappia “ripulirvi” la bocca dalla persistenza delle patine di grasso del “Caseus” e della “Grassa”.

 

Fonte: per le informazioni sulla Mortadella di Bologna IGP ringraziamo Giancarlo Roversi e il suo libro "La mortadella di Bologna IGP storia di un mito", pubblicato dal Consorzio Mortadella Bologna IGP

di Emiliano Racca

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