Massime e memorie 25/11/2006

L'OLIVO E L'OLIVASTRO

Vincenzo Consolo


E' l'uomo più solo sulla terra, senza un compagno, un oggetto, l'uomo più spoglio e debole, in preda a smarrimento, panico in quel luogo estremo, sconosciuto, che come il mare può nascondere insidie, violenze.
Ulisse ha toccato il punto più basso dell'impotenza umana, della vulnerabilità. Come una bestia ora, nuda e martoriata, trova riparo in una tana, tra un olivo e un olivastro (spuntano da uno stesso tronco questi due simboli del selvatico e del coltivato, del bestiale e dell'umano, spuntano come presagio d'una biforcazione di sentiero o di destino, della perdita di sé, dell'annientamento dentro la natura e della salvezza in seno a un consorzio civile, una cultura), si nasconde sotto le foglie secche per passare la notte paurosa che incombe.
E' svegliato al mattino dalle voci, dalle grida gioiose e aggraziate di fanciulle, di Nausicaa e delle sue compagne. Esce dal riapro e si presenta a loro, il sesso schermato da una fronda, come per simbolica autocastrazione, per non allarmare le vergini, come umile supplice, dimesso.

Vincenzo Consolo




Testo tratto da: Vincenzo Consolo, L'olivo e l'olivastro, Mondadori, Milano 1994

di T N