Massime e memorie 28/05/2011

L’olivo sembrava morto, ma non lo era

Ci arrampicavamo su quegli alberi e ci calavamo nella cavità interna, buia come un tunnel. Nel suo ultimo libro, Un filo d’olio, Simonetta Agnello Hornby ci porta in una Sicilia d’altri tempi


Le nostre avventure si concentravano per lo più nell’oliveto, dove la trazzera si tramutava in una pista che attraversava una conca larga e suggestiva. Lì crescevano gli alberi più antichi di Mosè, maestosi olivi saraceni diversi uno dall’altro e appartenenti a tre antiche varietà: Biancolilla, Ogliare e Giarraffa. Alcuni avevano la chioma spampazzata ed enormi tronchi contorti – come sacchi ruvidi lavati, attorcigliati e lasciati ad asciugare al sole – che si curvavano sul terreno e sembravano lì lì per cadere. La corteccia era secca, e in parte sollevata: sotto le squame brulicavano larve bianche, cieche. L’olivo sembrava morto, ma non lo era: quella era la pelle rugosa di un albero che non voleva morire, come dimostrato dai getti di olivastro che spuntavano in mezzo alle radici esterne. Ci arrampicavamo su quegli alberi e ci calavamo nella cavità interna, buia come un tunnel della miniera. Altri olivi, martoriati da nodi e bubboni, erano attorcigliati su se stessi; altri ancora si dividevano alla base in tre tronchi, ciascuno in una direzione differente, come slanciate Proserpine a braccia protese verso il cielo e trasformate in albero.

Simonetta Agnello Hornby

Testo tratto da: Simonetta Agnello Hornby, Un filo d’olio, Sellerio, Palermo 2011

 

di T N

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