Editoriali 27/10/2017

I trattati di libero scambio unico argine contro protezionismi e contraffazioni

Dopo anni di lotta nell'Organizzazione mondiale del commercio per il riconoscimento giuridico planetario delle Dop, oggi l'unica strada percorribile sono gli accordi bilaterali, chiave per consentire alle eccellenze italiane di crescere. Il pensiero del Presidente dell'Associazione italiana delle indicazioni geografiche (AICIG), Cesare Balbrighi


Da sempre far passare nel mondo il principio che sta alla base delle denominazioni d’origine protette è il problema chiave per consentire alle eccellenze italiane di crescere e soprattutto consolidarsi all’estero.

Il Made in Italy alimentare è un brand che consente di fare affari d’oro a quanti lo imitano in tutto il mondo. Sappiamo bene che i 60 miliardi di euro di giro d’affari dell’Italian Sounding supera quello dell’export dei prodotti italiani.

E sappiamo altrettanto bene quante energie il sistema delle dop lattiero casearie ha dovuto spendere per ottenere la tracciabilità delle materie prime sulle etichette anche all’interno dell’Unione Europea che nel 1996 ha istituito e regolato le DOP, ma che poi, espandendosi sino agli attuali 27 membri, ha dovuto fare i conti con mercati, economie ed istituzioni che non hanno un simile patrimonio da difendere ed al contrario sono pronti ad offrire opportunità a chi vuole creare nei loro paesi produzioni similari a quelle tutelate, vedendone i reciproci vantaggi.

Non dimentichiamo poi che per decenni ai tavoli della WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, si è cercato di ottenere il riconoscimento delle DOP a livello planetario, nella logica di fissare una soglia minima di tutele per le specificità in un mercato in mano ad una globalizzazione dove tutto è concesso. Sappiamo come è finita, con l’opposizione dei Paesi che vedono in questa tutela un limite alla loro crescita, pur pretendendo la valorizzazione delle loro nicchie, legittima ma che non contrasta con la richiesta di tutela delle produzioni tipiche europee.

In questo scenario costellato di protezionismi e contraffazioni, l’unica strada percorribile è stata ed è quella dei trattati bilaterali con i paesi al di fuori dell’Unione Europea. Nordamerica ed Estremo Oriente oggi valgono mediamente un terzo dell’export delle DOP italiane più diffuse, ma, nonostante si registrino ancora crescite in Europa, sono i mercati sui quali si deve investire per crescere.

Con la Cina alcuni anni fa fu siglato un accordo che prevedeva il reciproco riconoscimento di una decina di prodotti tipici, avviato tra mille cautele. La recente vicenda del blocco poi revocato delle importazioni di Gorgonzola ed altri formaggi erborinati ben riassume difficoltà e incertezze.

Il TTIP, l’accordo con gli USA, è stato una lunga odissea e le indicazioni protezionistiche del Presidente Trump lo hanno affossato. Troppo importante è l’industria della contraffazione a stelle e strisce, con una produzione che sovrasta il nostro export.

Questo stop ha probabilmente accelerato la firma del CETA con il Canada, che a sua volta ha dato una spinta all’accordo con il Giappone, ormai vicino alla conclusione. In base alle ultime informazioni, sul fronte dell'agroalimentare, i negoziatori europei sono riusciti non solo a strappare il riconoscimento di 205 denominazioni di origine tra Igp e Dop, tra cui 130 vini, ma anche il ritiro progressivo dal mercato nipponico di quelle 'fake'. C'è poi l'abolizione delle tariffe sui formaggi a pasta dura. Secondo alcune fonti del Financial Times, per i formaggi morbidi ci saranno delle quote entro le quali non si applicheranno dazi e per il momento, sarebbero tanto larghe da incorporare pienamente l'export europeo. Per i formaggi duri non sarebbero previste quote, ma il periodo transitorio per arrivare allo stadio duty-free durerà ben 15 anni.

Il CETA,  entrato in vigore in via provvisoria da circa un mese,  è ritenuto dal mondo della DOP e IGP da me rappresentato con AICIG, un accordo positivo proprio perché accetta il principio del riconoscimento delle nostre Indicazioni Geografiche, inoltre è una opportunità di crescita visto il quantitativo doppio che ci viene concesso di importare in Canada. Siamo ancora in una fase di avvio e rimane molto da fare, in particolare per quanto riguarda il meccanismo di assegnazione delle quote di importazione aggiuntive che oggi non ci favorisce, noi continueremo a far sentire la nostra parola ai tavoli delle trattative sia nazionali che internazionali affinché le DOP e IGP, che rappresentano un valore non solo economico ma anche sociale e culturale, emergano e siano sempre più riconosciute su tutti i mercati internazionali.
 

di Cesare Baldrighi

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Commenti 1

pasquale di lena
pasquale di lena
29 ottobre 2017 ore 10:30

Il presidente dell’AICIG (l’Associazione nazionale dei consorzi delle indicazioni geografiche), Cesare Balbrighi, autore di quest’articolo, continua ad applaudire (non è il solo, purtroppo) agli accordi bilaterali quali occasioni di crescita delle eccellenze italiane. Basta il titolo del penultimo articolo che riporta questo numero di TN“Aspettative deluse per Grana padano e per Parmigiano reggiano”, le due dop più importanti nella categoria dei formaggi, per capire che ci sono delusioni e preoccupazioni dopo l’entusiasmo espresso per l’approvazione - da parte dell’Europa - del Ceta, il trattato con il Canada , che, personalmente considero una iattura per la sovranità nazionale e, non solo, per le nostre eccellenze agroalimentari Dop e Igp, le indicazioni geografiche. Uno patrimonio unico, che dà all’Italia un primato importante, quello della qualità, su un mercato globale sempre più intristito da uniformità e scarsa qualità. Una iattura per i i Paesi europei e gli stessi consumatori canadesi e americani, i due Paesi confinanti che non hanno avuto bisogno di un trattato per affermare il libero scambio tra i due mercati. Tant’è che c’è chi pensa che si può fare a meno del Ttip. il trattato Europa - Usa.
Il sottotitolo, sempre del penultimo articolo sopra citato, “Evidenti distorsioni nell’applicazione del trattato di libero scambio con il Canada favoriscono i prodotti di bassa qualità che partono dall’Unione europea, così difendendo gli interessi degli allevatori canadesi”, rafforza il senso della delusione e della preoccupazione. Stiamo parlando di due delle 41 indicazioni geografiche riportate nel trattato Ceta approvato a Febbraio e, a poco tempo dalla sua entrata in funzione, già non rispondendo alle attese di chi ha detto Sì al trattato.
Stiamo parlando di due delle 41 eccellenze riportate nel trattato con le altre 250, delle 291 riconosciute al momento dell’approvazione del trattato (febbr. 2017), escluse perché non considerate. Un affronto alle migliaia di produttori (soprattutto coltivatori) e a quanti hanno creduto e credono nel valore delle dop e igp; ai consumatori del mondo, in primo luogo quelli canadesi e americani che, più di altri, hanno bisogno di garanzie per godere di un’alimentazione sana.
Se è così, diventa propaganda dire che “Il CETA, …è ritenuto dal mondo della Dop e IGP da me rappresentato con AICIG, un accordo positivo proprio perché accetta il principio del riconoscimento delle nostre Indicazioni Geografiche, …”. Da quello che dicono i due consorzi più noti al mondo nel campo dei formaggi, c'è da pensare che non è vero neanche per le 41 Dop e Igp, delle 294 ad oggi riconoscite (24.10. 2017), riportante nel trattato.
pasquale di lena