Editoriali 18/11/2016

Donald Trump Presidente: l’agroalimentare italiano volta pagina?

America ed Europa stanno vivendo un nuovo medioevo, all’alba della terza rivoluzione (quella telematica) mentre la globalizzazione risente dei prevedibili contraccolpi. Il rischio oggi è veder chiudersi il mercato statunitense mentre assistiamo impotenti all'invasione del cibo asiatico. La lucida analisi di Mario Pacelli


Quale sia la linea politica ed economica del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America nessuno sembra poterlo dire con esattezza. Una cosa è certa: Trump è l’America che vuole un cambiamento di rotta nel governo di un Paese attenagliato da una crisi di cui a molti europei è finora sfuggita la dimensione. Costruire un nuovo meccanismo di sviluppo della prima potenza mondiale non è certamente semplice: dalle dichiarazioni rese in campagna elettorale e più ancora da un’analisi di ciò che i suoi elettori sembrano chiedere al nuovo presidente qualche dato si può tuttavia estrapolare. Anzitutto c’è attesa per una più accentuata attenzione agli interessi nazionali, ad iniziare dall’economia. La middle class, quella che ha costruito la massa d’urto elettorale del nuovo presidente chiede misure per un rilancio dell’industria senza tutte le bardature che, a suo avviso, ne hanno appesantito lo sviluppo, ad iniziare dalle preoccupazioni, ritenute eccessive, per la tutela dell’ambiente per finire a provvedimenti protezionistici che mettono a riparo dalla concorrenza, ritenuta sleale, dell’industria estera e di quella asiatica in particolare. Per conseguire quest’ultimo obiettivo non necessariamente si tratterà di introdurre dazi alle importazioni: basterà modificare al ribasso il tasso di cambio con le monete asiatiche (Yuan cinese in particolare) oggi stabilito non dal mercato ma d’intesa tra i governi. Ciò potrebbe in una prima battuta favorire le esportazioni asiatiche ma alla lunga finirebbe per indebolire le loro economie: chi commercia con paesi che pagano con una moneta che vale poco e che per accedere al mercato dei cambi deve essere prima convertita in dollari?

Ecco già una prima conseguenza: l’Europa sarà assediata dai prodotti asiatici mentre esportare in quei paesi sarà meno conveniente e le esportazioni negli Stati Uniti cozzeranno contro una probabile barriera di dazi doganali.

Le nostre esportazioni agroalimentari saranno le prime a risentire gli effetti di questo mutamento di scenario: gli elevati costi di produzione italiani renderanno la competizione con quelli europei più difficile in tutti i settori. Per i prodotti agroalimentari in particolare la qualità elevata non sarà una sufficiente garanzia per l’esportazione, anche per i vasti spazi esistenti nella indicazione d’origine di molti prodotti, dai vini all’olio d’oliva, dai formaggi ai salumi.

Rischiano di venire al pettine tutti i nodi dell’agricoltura italiana, trascurata per troppo tempo nell’illusione, che si è fata sentire anche nei rapporti con le istituzioni europee, che il destino economico d’Italia fosse nell’industria pesante nella chimica, nella metalmeccanica, sacrificando sull’altare dello sviluppo industriale l’agricoltura, ritenuta retaggio di un’Italia povera ed arretrata. Il risultato è che l’industria chimica italiana è scomparsa, il grande stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese è diventato il più grande centro commerciale d’Europa mentre l’Ilva, l’unico grande stabilimento siderurgico superstite, resta in vita solo per un sempre più difficile equilibrio tra occupazione e tutela dell’ambiente.

Una tassazione troppo elevata, una scarsa attenzione nei rapporti con le istituzioni europee per i problemi agricoli nazionali, un sistema legislativo “duro” con una applicazione che oscilla tra cecità burocratica e corruzione, i grandi gruppi internazionali di fatto padroni di larghe fette di mercato: potrà il nostro Paese fronteggiare la concorrenza dell’agroalimentare europeo sul mercato interno e la crescente difficoltà di esportare nei mercati americani e asiatici? È una questione sulla quale gli organi di governo dovranno fissare con urgenza la loro attenzione. America ed Europa stanno vivendo un nuovo medioevo, all’alba della terza rivoluzione (quella telematica) mentre la globalizzazione risente dei prevedibili contraccolpi. L’elezione di Trump con la sua carica nazionalistica ne è un esempio.

La crisi può essere l’occasione giusta per destarsi da un sogno troppo lungo. Le risorse sono poche: è una ragione di più per una profonda revisione della loro utilizzazione nel settore agroalimentare tagliando drasticamente finanziamenti di enti inutili e di aziende decotte, eliminando balzelli (come ad esempio i contributi alle ex stazioni sperimentali, una vera violenza al consenso) e via di seguito.
Rinviare la soluzione di questi problemi nell’attuale situazione potrebbe produrre conseguenza disastrose per la nostra agricoltura e per la trasformazione dei prodotti agricoli ad essa connessa. Forse sarebbe utile tenerlo presente.

di Mario Pacelli

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Commenti 1

Remo Carlo Egardi
Remo Carlo Egardi
21 novembre 2016 ore 12:29

Si parla pochissimo che due anni di guerra commerciale e diplomatica tra Ue e Russia sono costati all'Italia 3,6 miliardi di euro di export andato in fumo. E' questo, secondo il conteggio della Cgia di Mestre, l'effetto delle sanzioni economiche che l'Ue ha introdotto nel 2014 verso Mosca (prima a luglio, poi rafforzate a settembre), a seguito della crisi politico-militare con l'Ucraina, che poi hanno portato all'embargo di reazione da parte della Russia (da agosto). "L'export italiano verso la federazione russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34 per cento)", dice l'ufficio studi dell'associazione di Mestre. Se poi l'elezione di Trump avrà, come conseguenza la scomparsa del TTIP, avremo solo benefici. Eviteremo l'invasione di prodotto usa (carne agli ormoni, grano al glifosato ecc) e, forse, cominceremo a rivalorizzare la nostra agricoltura, ormai chinata agli accordi internazionali che stanno portando alla rovina le nostre eccellenze agricole.