Editoriali 20/03/2015

Meglio l'olio d'oliva dell'extra vergine


La foto è stata scattata in un grande magazzino giapponese il 13 marzo scorso.

Olio di oliva Bertolli, mezzo litro, a 950 yen (7,3 euro)

Olio extra vergine di oliva Carbonell, mezzo litro, a 864 yen (6,6 euro)

Entrambi i prodotti non erano in offerta ma a prezzo pieno.

Non sono ancora arrivati agli eccessi italiani, in cui è l'olio di sansa di oliva a valere, a scaffale, più dell'extra vergine, ma poco ci manca.

I vizi italiani, ed europei, sono insomma attecchiti anche in Estremo Oriente.

Certe politiche commerciali vengono replicate tal quali, rischiando di rovinare mercati interessanti e nuovi, dove le parole olio extra vergine di oliva avevano un sapore vagamente esotico, di qualità, di nicchia e di salubrità.

Non cerco responsabili e colpevoli ma la risposta a una domanda: cos'è diventato l'olio extra vergine d'oliva?

Per gli europei è un “olio di categoria superiore...” ma poi sono le stesse aziende europee a svilirlo a prezzi di olio rettificato.

Vogliamo regole più severe e stringenti, adeguate all'alta qualità e all'immagine di questo succo d'oliva, ma poi permettiamo che il lavoro normativo venga gettato al vento da simili politiche commerciali.

Spendiamo fiumi di inchiostro per spiegare che l'olio extra vergine è innegabilmente un alimento prezioso e infinitamente più salutare e gustoso dell'olio d'oliva, ma poi i prezzi a scaffale dicono il contrario.

Chiediamo agli olivicoltori e ai frantoiani di essere più competitivi e aperti ai mercati internazionali in una partita con i dadi truccati, dove non si conosce, o si fa finta di non conoscere, la scala di qualità degli oli d'oliva.

E' il libero mercato o un'aberrazione del libero mercato?

Domanda retorica che non cambia il quadro né il trend.

L'olio di oliva è meglio dell'extra vergine o, quantomeno, le differenze tra le varie categorie degli oli di oliva sono questione di centesimi.

Non si spunta alcun premio di prezzo perchè un olio è extra vergine di oliva.

Occorre aggiungere qualcosa a questa definizione commerciale che ha perso il senso di “olio di categoria superiore...”.

Per anni è bastato aggiungere Made in Italy o Imported from Italy.

Oggi non più.

Le ricette e le formule del passato appartengono al passato, olio extra vergine d'oliva compreso.

di Alberto Grimelli

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Commenti 5

Sergio Enrietta
Sergio Enrietta
24 marzo 2015 ore 10:19

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Io non credo che non ce la faremo: anzi, sono certo che ce la faremo.
Anche se non sarà troppo facile, perché è necessario fare cose diverse da quelle che abbiamo fatto fino ad ora: perché, se continuiamo a fare le cose che abbiamo sempre fatto, continueremo ad ottenere i risultati che abbiamo sempre ottenuto.
Come dice Grimelli, le formule del passato appartengono al passato (remoto).
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Ho voluto fare un copia incolla, perché secondo me proprio in quelle 7 righe, stanno le solide fondazioni su cui partire per la ricostruzione.

Cosa sapremo costruirci sopra dipenderà dalle nostre capacità sopratutto individuali dico io, altri penseranno che dovrà invece essere qualcun'altro a pensare e agire per noi, se funzionano tutte le strade sono buone.
Però la pianta ben radicata e priva di sostegni in genere ha miglior futuro di quella amorevolmente sostenuta.

Siamo però certi di aver fatto abbastanza affinché il Giapponese che comprerà una bottiglia per tipo, abbia migliori soddisfazioni gustative dalla bottiglia di destra?

Perché, comunque, il contenuto se lo beve il consumatore, e qualche volta, anche giudica.

Intanto la stagione è ripartita, io ho potuto aggiungere un altro centinaio di piantine e non penso neppure un istante che sia un intervento sbagliato.

Buon lavoro a tutti

Gigi Mozzi
Gigi Mozzi
22 marzo 2015 ore 10:34

Io non credo che il prezzo dell’olio extravergine sugli scaffali sia fatto senza l’accordo del produttore. E’ una storia lunga che non è il caso di raccontarci, ma solo per dare il titolo: il prezzo di un oggetto, di una merce, di un servizio, lo fanno sempre in tre, produttore, distributore e consumatore, ma la priorità delle decisioni è differente, a seconda che si parli di un prodotto (vince il distributore, davanti al consumatore e ultimo il produttore) o di una brand (vince il produttore, davanti al consumatore e ultimo il distributore).
Se mi posso permettere un esempio: fino a che non diventa brand, un prodotto (nella grande come nella piccola distribuzione, nei ristoranti nobili e nelle pizzerie all’angolo, come nelle gastronomie raffinate) è una “private label”, cioè un oggetto che viene brandizzato (pardon) dal distributore o dal ristoratore.
Ecco perché i quei casi comandano loro la questione prezzo.
Fino a che il produttore non avrà una brand da proporre, un profilo da presentare, una massa critica da sostenere nella negoziazione con il distributore, e dei valori da condividere con i consumatori, siamo tutti sicuri che non c’è, e non ci sarà mai, gara: non solo con alcuni extravergini, ma nemmeno con l’olio di oliva e qualche volta neppure con l’olio di sansa.
Con la confusione che c’è a casa nostra, fino a che l’extravergine artigianale rimane un prodotto, il confronto verso l’altra categoria di extravergine, quello industriale, e le altre categorie di olio da olive, sarà sempre solo sul prezzo.
(Lo sapevo che la storia diventava lunga e io noioso. Scusate)
Io non credo tuttavia, che sia sufficiente appiccicare un’etichetta per essere sicuri, oltre ad avere nominato il prodotto, di avere costruito una brand: pensate, non sono diventate brand, neppure le denominazioni istituzionali (Dop e Igp) e meno che meno le segmentazioni di comodo che fanno riferimenti territoriali o quali-tativi.
Io non credo che presentare alla spicciolata i singoli prodotti (ciascuno il suo), sia sufficiente per iniziare a costruire un mercato diverso da quelli esistenti, il mercato dell’olio extravergine artigianale: che ci sarà, solo quando ci saranno le brand al posto dei prodotti e ci sarà una categoria produttiva riconosciuta dai distributori e dai consumatori.
Io non credo che non ce la faremo: anzi, sono certo che ce la faremo.
Anche se non sarà troppo facile, perché è necessario fare cose diverse da quelle che abbiamo fatto fino ad ora: perché, se continuiamo a fare le cose che abbiamo sempre fatto, continueremo ad ottenere i risultati che abbiamo sempre ottenuto.
Come dice Grimelli, le formule del passato appartengono al passato (remoto).

NICOLA BOVOLI
NICOLA BOVOLI
21 marzo 2015 ore 10:19

Io nel titolo avrei aggiunto almeno un punto interrogativo (?) finale!
In ogni caso concordo sia con Giampaolo che con Francesco: E' importante far conoscere al consumatore finale le differenze tra un olio di Frantoio ottenuto con procedimenti meccanici senza alcun diverso processo e gli oli "rettificati" che l'industria ha ottenuto che vengano definiti in etichetta come "raffinati".
A Pasquale invece dico: Si, con determinazione si potrà risalire la china! . Io e molti altri onesti produttori e frantoiani nutriamo molte e fondate speranze!

giampaolo sodano
giampaolo sodano
21 marzo 2015 ore 07:32

sono stato a perugia, alla cerimonia dell'ercole olivario, a ritirare la mia brava targa dopo aver preso il primo premio per il mio olio artigianale al concorso dell'unioncamere del lazio. tante parole, ma un silenzio assordante su come versa l'olivicoltura nazionale. tutti a farsi complimenti sulla bontà del nostro olio, nessuno a dire che se si continua con le politiche attuali l'olio italiano è morto. l'ho detto alla tribuna, ma ho avuto l'impressione di avergli rovinato la festa. allora il primo problema che abbiamo è la consapevolezza di chi siamo e dove vogliamo andare. dobbiamo partire da questo se vogliamo convincere parlamento, governo e regioni che dobbiamo investire sull'olio italiano e contemporaneamente a bruxelles e a madrid batterci contro il commercio internazionale di olio contraffatto. altrimenti il nostro futuro è segnato: vincerà per sempre lo scaffale di tokio.

Francesco Donadini
Francesco Donadini
21 marzo 2015 ore 06:31

E' da tempo che sostengo che l'extravergine deve differenziarsi in modo totale dal semplice oliva, il primo è olio "fresco", "crudo" o "naturale" il secondo è olio "rettificato", solo una comunicazione chiara, efficace e tutelata potrà tentare di risalire la china e dare il giusto valore al prodotto. Basta piangere e inceve, con determinazione portare avanti un progetto, che in primis, i frantoiano dovrebbere fare proprio.