Editoriali 25/04/2014

Gli ambientalisti devono studiare marketing


Gli ambientalisti non sanno parlare di felicità. Sanno però perfettamente spaventare chiunque li ascolti dissertando di un olocausto naturale dovuto all'uomo che, quindi, deve cominciare a ridurre le proprie pretese sulla Terra.

Detto in soldoni: occorre fare sacrifici per un futuribile bene collettivo.

Gli imprenditori invece parlano di felicità, di come l'innovazione e lo sfruttamento delle risorse, naturali e non, può generare ricchezza.

Detto in soldoni: il capitalismo consumista vi può dare una vita comoda ed agiata.

Non c'è partita, vince 3 a 0 a tavolino l'imprenditore.

Ecco perchè gli ambientalisti devono cominciare a studiare un po' di marketing: occuparsi della felicità delle persone.

I bacchettoni ci stanno naturalmente antipatici, peggio quando un po' saccenti, se al mix ci aggiungiamo la richiesta di privazioni e rinunce, la miscela è mortale. Volete la prova? Chiedete a Mario Monti...

Questa è esattamente la scena andata in onda a OttoeMezzo, trasmissione condotta da Lilli Gruber, lunedì 21 aprile, con attori protagonisti Chicco Testa, nei panni dell'imprenditore, e Marica Di Pierri in quelli dell'ambientalista.

Entrambi sono buoni oratori ma, mentre i discorsi di Chicco Testa erano pieni di promesse, non per niente viene da esperienze politiche, quelli di Marica Di Pierri avevano un po' l'amaro sapore del ricatto morale in nome del supremo bene collettivo, con un rincorrersi di immagini drammatiche e un po' nefaste, da toccarsi insomma. Marica Di Pierri ha ragione nel lanciare appelli e allarmi ma il tono e l'atteggiamento erano ansiogeni e privi di qualsiasi attrattiva.

Consiglio quindi un corso di marketing, perchè anche le idee e i buoni principi bisogna saperli vendere.

Il marketing insegna che per vendere bisogna soddisfare le esigenze delle persone. Non per niente la terminologia specifica è piena di richiami alla felicità. Per capire se un prodotto dolciario è sufficientemente zuccherino, si parla di bliss point, ovvero punto di beatitudine.

Lo scopo del marketing è quindi di per sé molto nobile: la felicità. Un'idea inserita direttamente nella Costituzione americana.

La pessima fama del marketing non è quindi dettata dal fine ma dal mezzo, o meglio dire mezzi, che servono per raggiungere lo scopo. La Coca Cola, per citare un esempio, negli anni sessanta si impadronì di tutti gli spazi commerciali in eventi sportivi o culturali per famiglie. Legava così il proprio brand a un momento di felicità, rendendolo imperituro nella nostra memoria. Un trucchetto molto scaltro.

Come si può dunque vendere l'idea ambientalista? Il più fulgido esempio, spero consapevole, viene dal sindaco di Trevi e dai ridenti oliveti intorno alla città, meta del pellegrinaggio di famiglie e giovani felici. Un'immagine, a volte, val più di mille parole.

di Alberto Grimelli

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