Editoriali 11/04/2014

L'olio Dop non è extra vergine d'oliva


E' necessario prendere atto che, per superare la quota del 2% in volume e del 5% in valore del mercato oleicolo, le Dop olivicole italiane devono compiere un balzo culturale prima ancora di avventurarsi nel marketing e nella comunicazione.

Un percorso difficile e pericoloso, potenzialmente irto di ostacoli, ma necessario per affermare gli oli a denominazione d'origine, anzi le Dop e Igp, sul mercato.

Siamo sicuri che la categoria merceologica “olio extra vergine d'oliva” sia rappresentativa per le produzioni di eccellenza dei nostri areali olivicoli?

E' il tema che come Federdop abbiamo posto ai nostri associati, ai Consorzi di tutela che ogni giorno devono lottare per spiegare le peculiarità degli oli Dop e ogni giorno sentono chiedersi qual'è la differenza tra un olio a denominazione d'origine e quello generico che troviamo su scaffale al supermercato, spesso a prezzi scontatissimi.

Tre parole: qualità (grazie a disciplinari di produzione), territori (gli oli Dop sono la quintessenza dell'origine certa) e trasparenza (ogni olio deve essere certificato ed è garantito).

E' un mantra che ripetiamo ormai da anni ma bisogna purtroppo riconoscere che i risultati commerciali sono al di sotto delle aspettative. Il segmento degli oli Dop cresce ma non quanto voluto e auspicato dagli operatori.

I nostri olivicoltori e frantoiani, su cui poggiano la conservazione della biodiversità olivicola e anche delle storie e tradizioni dei territori, ci chiedono di essere più coraggiosi.

Oggi occorre avere il coraggio di osare, ecco perchè vogliamo che sulle bottiglie degli oli a denominazione d'origine scompaia la definizione di extra vergine.

Non è solo un'operazione di marketing o commerciale ma una vera rivoluzione culturale utile a svincolare le denominazioni dal mare magnum della commodity “olio extra vergine d'oliva” dove la logica del prezzo supera ogni altra considerazione sul valore, anzi sui valori, che stanno in una bottiglia a denominazione d'origine.

Vogliamo poter gridare che non ci riconosciamo in una categoria troppo estesa e che da molti anni non riesce più a creare valore aggiunto, anzi semmai lo toglie alla filiera produttiva.

Per salvare le olivicolture italiane occorre ridare reddito agli olivicoltori, dando certezze ai consumatori. Il prezzo, come è emerso dallo studio che Federdop ha commissionato al Trade Marketing Studio, non è quel fattore limitante che ci hanno raccontato e, talvolta, usiamo come giustificazione per le nostre lacune di marketing e comunicazione.

Differenziarci dall'extra vergine, affermare che gli oli Dop sono altro è un primo passo.

Difenderci dalla contraffazione è il secondo passaggio.

La legislazione europea fornisce nuovi poteri ai Consorzi di tutela. Possiamo controllare e segnalare abusi e falsificazione. La ex officio è stata certamente una rivoluzione che ha permesso una vera integrazione dei mercati, permettendo, ad esempio, il ritiro celere di un falso Igp Toscano dagli scaffali di Harrods.

Non nascondiamoci però dietro a un dito. I nostri Consorzi hanno strutture e risorse troppo limitate per operare un vero e capillare controllo dei mercati mondiali. Gli organi di polizia nazionali ci possono venire in aiuto ma, solo con questi strumenti, rischiamo di perdere la partita, o almeno di pareggiarla. E non basta.

Ecco perchè Federdop ha salutato con favore la possibilità di sostituire le fascette date dai Consorzi con veri e propri sigilli di Stato. Questo significare fare sistema e aiutare il tessuto produttivo. Al momento si tratta solo di un'ipotesi da vagliare affinchè non vi sia un appesantimento burocratico e amministrativo per le imprese. Non vogliamo che a costi si aggiungano costi.

Falsificare un sigillo di Stato è molto più pericoloso che riprodurre illecitamente una fascetta di un Consorzio. Le pene e le ammende sono diverse. Non è però solo una questione giuridica. Apporre la fascetta cdi Stato, dal punto di vista d'immagine, soprattutto all'estero, implica che dietro alle Dop ci sia lo Stato con tutto il suo peso e la sua influenza.

Fuori dal mare magnum dell'extra vergine, quindi, ma da soli non si va da nessuna parte. Il nostro partner si chiama Italia, un brand amato in tutto il mondo. Che volere di più?

di Daniele Salvagno

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Commenti 8

Gigi Mozzi
Gigi Mozzi
16 aprile 2014 ore 15:58

Signor Salvagno
mi vorrà scusare se non concordo con la premessa che Lei fa: le DOP olivicole dovrebbero dare molta attenzione prima al marketing (e alla comunicazione) e, dopo, operare sul piano normativo, istituzionale, culturale.
Infatti il problema che Lei presenta, riguarda il perimetro di mercato entro il quale collocare i prodotti DOP, ed è una competenza marketing: le conseguenti decisioni, coraggiose e innovative, come quella di uscire dalla categoria “extravergini” e aprire un segmento DOP, sono scelte di mercato, che devono essere giustamente protette dalle istituzioni, e non viceversa.
Non Le nascondo che, in una prospettiva marketing, non è facile definire i prodotti DOP come un unico segmento, perché le difficoltà di legare assieme tutte le DOP è un esercizio un poco complicato e molto complesso. Per molte ragioni, che con-fondono i tre valori di posizionamento delle DOP, qualità/territorio/trasparenza e ne diminuiscono la portata.
Insisto sul tema perché vorrei essere d'accordo con Lei su alcune modalità che il marketing sostiene: la vendita di un prodotto è una conseguenza dell’acquisto che fa il consumatore, e non viceversa: la qualità non è quella dichiarata dal produttore ma è quella percepita dal consumatore, il prezzo non è un attributo del prodotto ma una variabile di confronto tra prodotti differenti, la quota di mercato è una lettura amministrativa, quello che conta è la quota di acquirenti e la frequenza di acquisto.
Per dire: la quota di mercato del 2% che viene accreditata alle DOP potrebbe essere determinata dall’1% dei consumatori (alto consumanti ed esclusivi DOP), oppure dal 10% dei consumatori (che sono basso consumanti e alternano le DOP ad altri oli): le conseguenze commerciali e gli interventi necessari sono ovviamente differenti.
Credo sia da lì che si debba partire: certo, per uscire dalla posizione attuale di nicchia e per cambiare una posizione che non è adeguata alle attese, è necessario un intervento strategico di marketing (quello vero, fatto di buon senso, etica, rispetto, esperienza): l'ipotesi di cancellare "extravergine" può essere interessante, a patto che sia confermata dagli attuali consumatori e accettata dai nuovi. Il resto è rischio.

Marco Cartolina
Marco Cartolina
15 aprile 2014 ore 10:01

La ringrazio dott. Grimelli per la puntuale risposta. Siamo quindi d'accordo che l'attuale extravergine Made in Italy e' una presa in giro per i consumatori. Se si realizzasse il sogno di molti di noi di un extravergine Made in Italy di "ALTA QUALITÀ' " certificata e garantita come le vere DOP, secondo lei, quanto di tutto l'olio extravergine attualmente venduto come Made in Italy supererebbe l'esame della certificazione ALTA QUALITÀ ? A mio modesto parere : solo pochissime bottiglie. Ecco che torna il mio concetto che l'ATTUALE Made in Italy, camuffato da DOP NAZIONALE grazie al reg. 29/2012, fa concorrenza sleale alle vere DOP.

luca crocenzi
luca crocenzi
14 aprile 2014 ore 16:15

E' sicuramente positivo il fatto che da parte della stessa Federdop si senta la necessità di promuovere delle azioni concrete al fine di favorire una più ampia diffusione dei prodotti a marchio di origine. Non credo infatti che si tratti di una certificazione che non possa avere un futuro, e sulla quale non si debbano provare a mettere in campo delle nuove idee. Credo, invece, che in passato vi possano essere stati degli errori e che da quelli bisognerebbe ripartire per cercare di capire dove orientarsi. Potrebbe anche essere utile verificare quali, tra le denominazioni di origine di maggiore successo, siano stati gli elementi premianti che hanno permesso il raggiungimento di certi livelli di risultato. Fare sistema, razionalizzare le risorse a disposizione e spendere sempre di più il marchio Italia (come giustamente ci ricorda il Dr. Salvagno) sono sicuramente azioni da mettere in campo. Ritengo che se da una parte sia utile lavorare nei diversi segmenti di mercato per raggiungere e ampliare il numero di consumatori che fanno uso di olio extravergine di oliva, dall’altra, è altrettanto utile lavorare sull’immaginario collettivo (che è forte nel mondo nei riguardi del “brand” Italia), rafforzando i prodotti e i marchi di qualità di cui le DOP sono un sicuro protagonista: le due anime devono alimentarsi costantemente e vicendevolmente.

Luca Crocenzi
Borsa Merci Telematica Italiana

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
14 aprile 2014 ore 09:15

Gent. Dott. Cartolina,
non è un segreto che avrei preferito un altro percorso in merito all'indicazione d'origine obbligatoria. Ho fatto apertamente il tifo per l'Alta Qualità, relativo disciplinare e certificazione, proprio perchè la ritengo la strada più giusta per valorizzare il Made in Italy.
Purtroppo recenti inchieste della magistratura suggeriscono che non tutto ciò che è dichiarato 100% italiano lo è realmente. Non è poi così difficile imbattersi in bottiglie in cui la bandiera italiana sventola orgogliosa e sentirvi il caratteristico odore della Picual.
Non ritengo il Made in Italy, e più precisamente l'Alta Qualità, un nemico delle Dop. Come mi ha recentemente confermato il Prof. Servili la maggior parte delle Dop in commercio rispettano abbondantemente i limiti dell'Alta Qualità, nonostante i disciplinari impongano parametri ben più lassi, riflettendo un passato che non esiste più (per modificare un disciplinare occorrono anni per le complicatissime procedure previste da Bruxelles).,
Un Made in Italy certificato può essere un utilissimo alleato delle Dop.
Al Vinitaly ho sentito presidenti di Consorzi viticoli importanti, come il Brunello, dire che occorre, in molti nuovi mercati, far conoscere prima l'Italia, senza disconoscere la tipicità territoriale. Credo che medesimo percorso si possa attuare con le Dop olivicole. Le Dop sono la punta di diamante dell'Italia olivicola. Il brand nazionale e quelli locali non debbono andar disgiunti ma essere l'uno la colonna dell'altro.
Certo, al momento, la colonna del Made in Italy, come giustamente sottolineato, è zoppa. Ecco perchè, più che denunce alla Corte di Giustizia Ue, mi piacerebbe che si arrivasse all'approvazione dell'Alta Qualità. Forse, però, è solo un sogno.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Stefano  Petrucci
Stefano Petrucci
13 aprile 2014 ore 15:32

Le dop sono le uniche che hanno una certificazione di prodotto rilasciata da un ente terzo che certifica origine e qualità. Non ci sono oggi alternative sul mercato se non di natura privata e volontaria la cui serietà e' legate esclusivamente alla serietà del proponente quindi niente di pubblico e non sottoposto a controllo di Icq etc.
Per quanto riguarda i risultati delle Dop, non sufficientemente affermato dalla stesso Salvagno, il successo e' testimoniato dai prezzi degli oli dop che quotano sullo stesso mercato e sullo stesso territorio di produzione, in cui viene prodotto anche extra, quotazioni più alte dal 30% al 100% ad eccezione di due sole dop. Che questo valore non sia ancora sufficiente sono d'accordo con Salvagno ma che questo non sia un successo straordinario in un mondo quale quello dell'olio e' innegabile. Se questa sia la strada da perseguire non ho dubbi.

Marco Cartolina
Marco Cartolina
13 aprile 2014 ore 08:49

Comprendo la provocazione del dott. Salvagno, però chiedo a lei e al dott. Grimelli : possibile che non vedete che "il nemico e' in casa"? Ovvero possibile che non vedete che c'è una concorrenza sleale alle DOP vere da parte di una DOP NAZIONALE "ABUSIVA" che si chiama "olio extravergine di oliva MADE IN ITALY? Sapete benissimo che il regolamento UE n. 29/2012 con l'art. 4 imposto dall'Italia ha normato la designazione dell'origine anche a uno Stato membro. Così mentre le DOP vere garantiscono, come ha giustamente detto lei, qualità (grazie ai disciplinari di produzione), territori (area ben individuata e circoscritta) e trasparenza (ogni olio deve essere certificato e garantito), vi chiedo cosa garantisce un generico olio extravergine MADE IN ITALY ai consumatori? Forse qualità' ? Assolutamente NO. Deve solo garantire la corrispondenza ai parametri analitici previsti dal reg. 2568/91 allo stesso modo di un olio extravergine "miscela di oli comunitari". Forse la territorialità ? Sicuramente si, però di un territorio così esteso con oltre 300 cultivar, con oli così diversi. Forse la trasparenza? Assolutamente no, Per il Made in Italy non è' prevista nessuna certificazione e garanzia. Allora cosa aspetta Federdop a segnalare tutto questo ai consumatori e cosa aspetta a ricorrere alla Corte di Giustizia della UE per denunciare il reg. 29/2012 per concorrenza sleale?

Duccio Morozzo
Duccio Morozzo
12 aprile 2014 ore 19:08

Gentile dott. Salvagno

Personalmente allontanare la definizione “extra vergine” da DOP mi sembra molto pericoloso. Una strategia che ricorda quella del Franciacorta: non chiamatelo spumante, il suo nome è “Franciacorta”.

C’è però una differenza: Franciacorta è una realtà costituita da case vitivinicole che hanno investito in prima persona ingenti somme di denaro per promuovere quel concetto di unicità che oggi gli viene riconosciuto. Aziende bravissime in comunicazione e commercializzazione che investono nel proprio destino commerciale.

Le DOP sono un concetto bellissimo. Peccato però che l’applicazione dell’idea non abbia mai funzionato. Gli investimenti hanno portato i risultati sperati? Penso si possa dire di no senza troppi indugi. Una realtà commerciale che avesse investito di tasca propria avrebbe fatto tabula rasa della struttura responsabile di promozione, strategie e comunicazione.

Le aziende olivicole che certificano sono invece l’ultimo anello della catena (al contrario della Franciacorta) e devono accettare quello che viene deciso da consorzi e associazioni di categoria che creano le norme e gestiscono le pratiche burocratiche. Spesso queste decisioni sono veramente lontane sia dalle esigenze dei produttori che dai mercati internazionali.

Se si prova a cambiare le cose, la classica risposta è: e ma sa, la Comunità Europea…

Allora, togliere “extra vergine” lasciando solo la definizione “DOP” (ammesso che questo sia possibile) senza avere i mezzi economici e comunicativi di altre realtà sarebbe una ottima strategia per perdere ancora più mercato e diventare invisibili ai consumatori.

Soprattutto adesso che la parola “extra vergine” si va affermando in paesi lontani e dal forte potere d’acquisto.

Il materiale su cui lavorare esiste già: “extra vergine DOP”. Non aggiungiamo confusione a confusione. Sfruttiamo i milioni di euro spesi in molti anni di comunicazione ai mercati internazionali per il concetto di “extra vergine”.

Sta poi a voi spiegare in maniera comprensibile la differenza dell’”extra DOP” da un “extra convenzionale”.

In quanto paese che si riconosce nel COI siamo nel Mare Magnum dell'extra vergine: ma smettiamo di andare alla deriva e iniziamo a navigare nella giusta direzione.

Cordiali saluti e buon lavoro

Duccio Morozzo

Giovanni Piras
Giovanni Piras
12 aprile 2014 ore 14:56

Magari avete ragione voi, ma a me vengono una serie di obiezioni, riconducibili a una: la DOP deve avere un mero valore descrittivo e non può essere confusa con la qualità dell'olio, altrimenti rischia di essere come la tessera del partito fascista, perché chi fa un olio di grande qualità ma vuole fare di testa sua sarebbe penalizzato a non aderire al disciplinare. Inoltre se uno coltiva olive non autoctone non potrebbe aderire nemmeno se volesse, e magari produce un ottimo olio. Quindi, a mio avviso, la DOP non può essere differenziata dall'extravergine, a meno di offrire anche ai cani sciolti una definizione che differenzi anche loro, quando raggiungono livelli d'eccellenza, dal resto degli extravergine; e da questa nuova definizione dovrebbero essere esclusi proprio i DOP, proprio per evitare che si fregino di due medaglie pur avendo un solo titolo.
Cordiali saluti