Associazioni di idee 30/11/2018

Il dissesto idrogeologico mette a rischio 150 mila aziende agricole

Senza interventi è a rischio l’80% dei comuni secondo la Confederazione italiana agricoltori e non prevenire è già costato all’Italia oltre 20 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Serve un grande piano agro-industriale che potrebbe creare fino a 100 mila nuovi posti di lavoro


Tra maltempo, calamità naturali, dissesto idrogeologico e fauna selvatica, non prevenire è già costato all’Italia oltre 20 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Ancora oggi, quasi 7.000 comuni e 150.000 imprese agricole sono esposti a rischi ambientali. L’incuria e la cementificazione senza regole continua a bruciare 14 ettari di terreno coltivabile al giorno e più di 6 milioni di cittadini risiedono in aree soggette a frane e alluvioni. Questi i dati allarmanti che hanno spinto Cia-Agricoltori Italiani a lanciare un progetto di manutenzione infrastrutturale del territorio nazionale. Un vero e proprio Ordine del giorno in cinque mosse presentato in occasione dell’Assemblea nazionale, a Roma all’Auditorium Conciliazione.

Quasi duemila imprenditori agricoli, provenienti da tutte le regioni italiane, si sono riuniti nella capitale per chiedere a gran voce l’attuazione di quello che il presidente nazionale di Cia, Dino Scanavino, ha definito un “atto storico”, ovvero un intervento straordinario di tutela, manutenzione e gestione sostenibile del Paese, recuperando gli enormi ritardi infrastrutturali e puntando sulla centralità dell’agricoltura. Obiettivo finale è la costruzione di un grande piano agro-industriale che potrebbe creare fino a 100 mila nuovi posti di lavoro generando Pil e ricchezza.

“La parola d’ordine deve essere prevenzione, non più emergenza -ha spiegato Scanavino- basta azioni spot nate a seguito dell’ultima tragedia. Nel nostro progetto, che vogliamo sottoporre da oggi a Istituzioni nazionali e locali, ci sono le linee guida per un reale cambio di marcia”. Si parte dall’immediata messa in sicurezza dei territori più a rischio e da un’attenta programmazione per il futuro, che deve partire dalle aree interne. Urgenti, poi, reali politiche di governance del territorio: dallo sviluppo di verde urbano e bioedilizia alla valorizzazione del presidio degli agricoltori, lavorando per contrastare il consumo di suolo, l’abbandono e lo spopolamento delle aree rurali e marginali, e salvaguardando il patrimonio boschivo. Occorre, quindi, favorire reti d’impresa territoriali, mettendo in sinergia agricoltura, commercio, logistica, turismo, enti locali e cittadini, in un’ottica di sistema integrato su misura. Inoltre, non è più rinviabile un nuovo e più efficace piano di intervento sulla questione fauna selvatica, che superi la normativa vigente, tanto più che danni e pericoli hanno assunto una dimensione insostenibile anche in termini di sicurezza nazionale. Infine, se ben orientate, le risorse della nuova Pac potrebbero concorrere al rilancio delle comunità e delle economie locali, mettendo assieme Fondi strutturali Ue, misure di sostegno, incentivi e programmi di infrastrutturazione del territorio.

“Questo è il contributo degli Agricoltori Italiani per il Paese che vogliamo -ha detto il presidente Cia in Assemblea-. Territorio, infrastrutture e innovazione sono i tre asset su cui investire risorse e costruire politiche di sviluppo, da subito, mettendo in rete governo, regioni, comuni ed enti locali, con le altre risorse socio-economiche dei territori -ha concluso Scanavino- e valorizzando il ruolo essenziale dell’agricoltura”.

Rischio idrogeologico. Frane, alluvioni, smottamenti e piene. L’Italia ha il triste primato in Europa di Paese a maggior rischio idrogeologico, un pericolo che riguarda 6.633 comuni, ovvero l’82% del totale, e quasi il 20% delle imprese, con punte più alte in regioni come Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata, Calabria. Eppure, a dispetto di questa altissima criticità, ancora non si riconosce pienamente il ruolo degli agricoltori come manutentori del Paese. I terreni coltivati, infatti, insieme a quelli boschivi, giocano un ruolo essenziale per stabilizzare e consolidare i versanti e per trattenere le sponde dei fiumi, grazie anche alla capacità di assorbimento e di riduzione dei tempi di corrivazione, aiutando così a scongiurare frane e cedimenti del terreno -ricorda Cia-. Ogni forma di coltivazione obbliga a un corretto regime delle acque e questo comporta una sensibile diminuzione dell’esposizione dei versanti al rischio di smottamenti e dei fondovalle al pericolo di allagamenti. Senza l’opera di presidio e cura del territorio da parte degli agricoltori, si lascia spazio al degrado e all’abbandono, soprattutto nelle aree interne e marginali, e questo aumenta il rischio di danni all’ambiente e alle persone.

Consumo di suolo. La cementificazione costante e non sempre regolamentata ha già cancellato negli ultimi vent’anni oltre 2 milioni di ettari di terreno agricolo; un processo spesso neppure accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque. Solo nel 2017, secondo gli ultimi dati, il consumo di suolo agricolo ha interessato altri 5.400 ettari di territorio nazionale, con un potenziale valore commerciale perso di circa 216 milioni di euro. Si è alimentata l’incuria e, senza un “monitoraggio” agricolo, la manutenzione spesso è saltata. Per questo Cia insiste per un deciso passo avanti, approvando finalmente la legge contro il consumo di suolo, in ballo dal 2012.

Animali selvatici. Il problema in Italia è ancora fuori controllo e crea danni milionari all’agricoltura, oltre a minacciare la sicurezza dei cittadini. Solo per citare alcuni esempi, la media annua delle domande di indennizzi per i danni da fauna selvatica supera i 2 milioni di euro in Toscana ed Emilia-Romagna e arriva a oltre 1 milione nelle Marche e in Umbria. E ancora, ogni anno, solo nelle regioni dell’arco appenninico, dalla Calabria alla Liguria, gli animali selvatici uccidono dalle 2.000 alle 2.500 pecore. Ecco perché, secondo Cia, è urgente che le Istituzioni intervengano, modificando la legge quadro datata 1992 che regola la materia, riformando gli ambiti territoriali venatori e superando il regime del de minimis nel rimborso dei danni che, di fatto, paralizza il sistema dei rimborsi per gli agricoltori. Soprattutto, oggi occorre introdurre il concetto di “corretta gestione” accanto a quello di protezione, parlando di carichi sostenibili di specie animali nei diversi territori e ambienti, tenendo conto degli aspetti naturali, ma anche produttivi e turistici.

di C. S.