Bio e Natura 03/07/2010

Ogm sì, Ogm no. Tentazione o dannazione?

Nella vita, qualsiasi scelta, invenzione o cambiamento comporta necessariamente qualche rischio. Condannare a priori la biotecnologia sullo stesso catastrofico piano di Chernobyl è tuttavia irragionevole. Paola Cerana ci introduce nel solco tracciato da Joe Schwarcz


Esposizione di frutta da Hediard,  a Parigi - foto di Paola Cerana

Gli accesi dibattiti circa l’impiego di OGM nell’universo alimentare e l’incoraggiamento alla sperimentazione espresso recentemente dal Ministro Galan mi hanno riportato alla mente un libro molto interessante, letto poco tempo fa.
E’ un saggio dal titolo curioso, Come si sbriciola un biscotto?, scritto da Joe Schwarcz - professore di chimica e direttore dell’Ufficio per la Scienza alla McGill University di Montreal - il quale dedica un intero capitolo proprio alla sperimentazione transgenica nell’agricoltura.

L’autore affronta l’argomento con la competenza dello scienziato, la saggezza del filosofo e il buon senso dell’essere umano, mantenendosi al di sopra di ogni interesse economico e politico.
Per questo, mi sembra che le sue riflessioni s’inseriscano bene tra le pagine di Teatro Naturale che, si sa, ragiona e dialoga sempre in maniera obiettiva, libera, coscienziosa e disponibile al confronto.

Joe Schwarcz è consapevole del fatto che la modificazione genetica dei cibi possa comportare effetti collaterali imprevedibili nell’immediato presente. Nella vita, qualsiasi scelta, invenzione o cambiamento comporta necessariamente qualche rischio. Così, senz’altro, shakerare molecole e mixare geni può condurre a sorprese inimmaginabili, come potrebbero confermare alcuni genitori che hanno unito i propri geni per mettere al mondo dei figli. Ma condannare a priori la biotecnologia sullo stesso catastrofico piano di Chernobyl o del talidomide, come alcuni estremisti insistono a fare, è probabilmente irragionevole.

L’uomo ha cominciato, in realtà, da tempo immemorabile a “giocare” con il corredo genetico di piante e animali. Pensate che se gli agricoltori non avessero iniziato a spargere polline di una specie di frumento sulla specie di un altro, oggi ogni spiga di grano offrirebbe ancora solo quindici chicchi o poco più. Se il grano non fosse stato poi incrociato con alcune piante selvatiche, i raccolti sarebbero più scarsi e subirebbero molti più danni da parte di funghi e parassiti. E ancora: senza la fecondazione incrociata non esisterebbero le deliziose pesche noci, i succosi mapo, le mele Mackintosh e quella dolcissima uva che si scioglie in bocca priva di quei fastidiosissimi semi. Non esisterebbe nemmeno il pompelmo, che comparve per la prima volta nel Settecento, grazie all’incrocio tra vari agrumi.

Pensando a questi generosi frutti, straordinariamente belli oltre che buoni, verrebbe spontaneo considerare la manipolazione genetica solo come un miracolo della scienza, in cui l’Uomo si è trasformato mirabilmente in Creatore sulla Terra. Naturalmente, non è sempre così, perché il progredire della ricerca scientifica avanza anche per serendipità, incappando imprevedibilmente qua e là in risultati non propriamente cercati.

Nel 1974 ci fu una svolta nella sperimentazione genetica. Per la prima volta si isolarono e copiarono dei geni: minuscoli segmenti di molecole di DNA presenti nel nucleo di ogni cellula cominciarono ad essere clonati. In tal modo, fu possibile introdurre geni scelti ad hoc nel meccanismo genetico di una cellula estranea, per indurla a svolgere le funzioni desiderate. In teoria, si spalancava un universo infinitamente esteso di opportunità di cui era praticamente impossibile scorgere l’orizzonte. Non entro ora nella descrizione dettagliata del meccanismo chimico che ha portato a ciò. Joe Schwarcz lo riassume, comunque, con affascinante semplicità e leggerezza, tanto da far immaginare lo sbocciare di una rigogliosa e magnifica pianta a partire da un microscopico batterio del suolo dal nome improponibile, l’Agrobacterium tumefaciens. Il punto cruciale della sua argomentazione è, piuttosto, questo: la manipolazione genetica non è necessariamente “cattiva” per il bene pubblico, solo perché è “buona” per le grandi industrie che ne traggono profitti.

E’ inevitabile che gli interessi economici siano esorbitanti e trascinanti ma nessuna società vorrebbe compromettere la propria reputazione, e l’esistenza stessa, mettendo avventatamente sul mercato prodotti pericolosi. E, comunque, la ricerca in sé, in ogni campo scientifico, è anche un dovere morale, umanamente non rinunciabile, da svolgere con cautela e intelligenza. Il progresso è una sfida e, come tale, ha sempre dei costi ma se temiamo l’ignoto non arriveremo mai da nessuna parte!

Joe Schwarcz ci ricorda che la manipolazione genetica dei cibi ha portato finora incontestabili benefici e la sfida alla malnutrizione ne è un esempio. La malnutrizione non riguarda esclusivamente gli estremi drammatici del Terzo Mondo. Ne esistono altre manifestazioni, meno clamorose forse ma altrettanto serie e diffuse, come la carenza di ferro, che può causare deficienza intellettuale, immunodepressione e complicanze nella gravidanza.

Milioni di persone soffrono di anemia sideropenica e la maggior parte di esse si nutre prevalentemente di riso, alimento poverissimo di ferro. Grazie alla modificazione genetica, si è arrivati a produrre una varietà di riso ricca di ferro, introducendo nel DNA del riso “normale” un gene isolato dei fagiolini verdi. Questo gene codifica la sintesi di una proteina, la ferritina, utile nell’accumulo del ferro nell’organismo. E non solo: chi si alimenta prevalentemente con riso, soffre anche di carenza di vitamina A, perché il riso contiene una proporzione insignificante di betacarotene, il precursore di questa vitamina. E la carenza di vitamina A è tra le maggiori cause di cecità, di alcuni tipi di cancro e di malattie della pelle.

Oggi esiste, grazie alla manipolazione genetica, un tipo di riso arricchito anche di vitamina A, “rubata” da due geni della giunchiglia e da altri due provenienti da un batterio. E forse - aggiungo ingenuamente io, perché il libro di Schwarcz non è così aggiornato da poterlo dire - i due tipi di riso potrebbero essere già stati incrociati tra di loro, ottenendone un terzo portentoso mix di amido, ferro e vitamine.

Tutto ciò è estremamente affascinante e anche inquietante, lo riconosco, ma credo che ogni estremismo vada evitato, incoraggiando la ricerca e la sperimentazione con coraggio e coscienza. Del resto, anche il primo volo dei fratelli Wright non fu uno spettacolo molto convincente. Ma chi vide quell’aereo traballante arrancare in volo per pochi metri si rese conto, con un po’ d’immaginazione, che quel maldestro esperimento avrebbe rivoluzionato il modo di viaggiare. Oggi, nei nostri viaggi, ci serviamo dell’aereo perché sappiamo che i benefici superano di gran lunga i rischi e, forse, è con questo stesso spirito che va considerata l’opportunità dei cibi geneticamente modificati.

Io continuo a consumare fragranti germogli di soia, croccante mais color zafferano, succosi mega pomodori e supersalmoni traboccanti di omega tre. E mi sento in grande forma … per ora!
Mi associo, quindi, alla riflessione conclusiva di Schwarcz che, con saggezza e un pizzico d’ironia, chiosa il suo capitolo dedicato agli OGM così: “La modificazione genetica è un problema scientifico, economico, politico ed emotivo estremamente complesso e questa non è certamente la mia ultima parola sull’argomento. Forse, un giorno, potrei essere costretto a rimangiarmi quanto ho detto. Ma allora avremo probabilmente anche una versione geneticamente modificata più nutriente e altamente appetibile.”




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