Editoriali 26/09/2009

Organizzazioni agricole, il populismo non aiuta




L’editoriale “Ripensare le organizzazioni professionali agricole” a firma di Pasquale Di Lena, pubblicato su Teatro Naturale lo scorso 11 luglio, merita alcune attente riflessioni e delle considerazioni (link esterno).

Prima, però, mi sembra opportuno segnalare come nel nostro Paese da tempo si siano ridotte se non cancellate tutte le occasioni utili per un reale e costruttivo confronto sui problemi dell’agricoltura e il suo futuro, e in quest’ambito definire il ruolo e le responsabilità dei diversi soggetti che a vario titolo possono e devono dare un loro fattivo contributo.

Voglio ricordare che appena eletto presidente della Cia (luglio 2004) ho avanzato la proposta dello svolgimento di una Conferenza Nazionale per/sull’agricoltura che doveva essere convocata dal governo e che doveva vedere la partecipazione attiva di tutti i soggetti istituzionali, dell’economia, del mondo della scienza, della tecnica e della rappresentanza degli interessi.

L’obiettivo della Conferenza era ed è la definizione del ruolo dell’agricoltura nella società e nell’economia italiana, gli strumenti di governo e di intervento, la “missione” degli agricoltori, i loro doveri verso i cittadini/consumatori, verso la società in rapporto all’economia, il fabbisogno alimentare, ma anche i loro diritti a vedere riconosciute e valorizzate le loro capacità imprenditoriali, il lavoro e gli investimenti dedicati all’attività agricola.

La necessità di dare risposte in questa direzione trovavano e trovano motivazione non solo dal cambiamento dell’economia, dei mercati, dai bisogni dei consumatori, dal quadro legislativo e dalla disponibilità delle risorse finanziarie dedicate al settore a livello europeo (PAC) e nazionale. La Conferenza venne convocata dall’allora ministro Alemanno e successivamente dal ministro De Castro. La contrarietà da parte delle regioni che temevano strumentalizzazioni della Conferenza alla vigilia della consultazioni elettorale (grave errore da parte degli assessori) nel primo caso e lo scioglimento anticipato del Parlamento, nel secondo caso, non hanno ad oggi permesso lo svolgimento della Conferenza. Il ministro Zaia al suo insediamento ha annunciato la Conferenza, ma poi non ne ha più parlato forse perché consigliato dalla Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti che in maniera coerente e chiara ha sempre avversato il suo svolgimento ritenendo inutile qualsiasi confronto forse credendo di essere l’unica ed esclusiva interlocutrice dell’agricoltura italiana, degli agricoltori, dell’alimentazione, della sicurezza e della dieta alimentare, ecc. ecc.

Nel secolo scorso (fino agli anni Ottanta), agli agricoltori italiani ed europei era stato affidato il compito primario di produrre derrate alimentari a sufficienza per liberare il Paese dal bisogno degli alimenti che dovevano essere disponibili a prezzi bassi. Questa era l’esigenza prioritaria per permettere l’ammodernamento delle attività produttive e il loro sviluppo in altri settori da quello industriale, ai servizi, ecc.

A memoria ricordo che nel nostro Paese, alla fine degli anni '80/'90 venne approvata una legge organica di sviluppo della nostra agricoltura che puntava in maniera chiara alla meccanizzazione ed ammodernamento del settore primario, con l’obiettivo dell’aumento della produzione per il raggiungimento del 90% del nostro fabbisogno alimentare (legge quadrifoglio).

La Pac perseguiva in maniera coerente questo obiettivo incentivando finanziariamente le produzioni in rapporto alla quantità fisica indipendentemente da come, dove e chi produceva. La prima Pac finanziava direttamente le quantità produttive ritenute strategiche, il loro ammasso e il conseguente ritiro del mercato. Con il raggiungimento degli obiettivi, la Pac ha iniziato a cambiare di segno con la conseguenza dell’introduzione di tetti massimi di spesa, con le quote fisiche alla produzione, con l’abbandono della politica dei prezzi e, nel 1992, con una profonda riforma che assegnava le risorse finanziarie sempre direttamente agli agricoltori, ma con la finalità non più rivolta alla quantità fisica del prodotto, ma per sostenerli nella sempre più agguerrita competitività di mercati sempre più ampi.

La successiva riforma del 2000 prima, poi 2003 ed ancor più recentemente quella del 2008, hanno cambiato profondamente gli obiettivi della Pac . La riforma del dopo 2013 (se non verrà anticipata) si annuncia piena di ulteriori novità che incideranno in maniera ancor più sensibile sull’agricoltura e sulle imprese agricole.

Cosa hanno prodotto le politiche nazionali in rapporto ai mutamenti avvenuti e qual è stato il ruolo delle loro organizzazioni di rappresentanza. Non ho nessuna difficoltà nell’affermare che i produttori agricoli sono stati lasciati da soli ad affrontare i cambiamenti e i risultati, purtroppo incominciano a vedersi.

Ecco, caro Direttore, ho voluto inquadrare la mia riflessione in questo scenario per inserirmi con alcune brevi considerazioni su quanto affermato da Pasquale Di Lena (link esterno).
Certamente i produttori agricoli sono abituati ai capricci della natura, da sempre hanno messo in conto il rischio di perdere il raccolto o la caduta dei prezzi sul mercato, ma hanno sempre confidato nel recupero ritenendo quasi normale che ciò avvenisse. Nonostante le difficoltà si confidava che il temporale sarebbe passato e che il sole sarebbe tornato presto a splendere. Oggi ci sono meno certezze, c’è maggiore pessimismo, smarrimento e minore fiducia sul futuro.

Gli agricoltori devono sempre di più fare i conti con il mercato, con la loro capacità di essere competitivi: producono ma non sanno come, dove e a quali prezzi verranno collocati i prodotti. La nostra agricoltura ha il primato delle Dop, le produzioni agricole italiane sono conosciute, apprezzate ed anche copiate sui mercati internazionali. Il settore agroalimentare rappresenta una percentuale importante nella formazione della ricchezza nazionale prodotta e nella bilancia dei pagamenti con i Paesi terzi. Nonostante questa cornice però i conti non tornano e non tornano soprattutto, se non esclusivamente, nelle tasche degli agricoltori, di chi, in ultima analisi, è il protagonista principale di questa produzione. Questa semplice ed universalmente riconosciuta considerazione, ci fa comprendere che l’origine del prodotto, l’etichettatura, la tracciabilità, ecc. sono misure necessarie, utili e condivise, ma non sufficienti.

La qualità da sola non è sufficiente per il successo delle nostre produzioni sui mercati. La qualità ha bisogno di essere protetta, valorizzata e, soprattutto accompagnata sui mercati interni ed internazionali e, quindi, deve essere competitiva e capace di generare reddito per gli agricoltori. Ecco, credo che bisogna partire da questa semplice considerazione per ridefinire in maniera chiara il ruolo da assegnare all’agricoltura nell’economia e nella società, i diritti e i doveri degli agricoltori, quali strumenti sono necessari e quali sono le risorse su cui disporre. Da ciò è nata la nostra richiesta per lo svolgimento della Conferenza nazionale sull’agricoltura che riteniamo ancora utile.

In queste settimane il governo francese, di concerto con la Presidenza della Repubblica, ha convocato una grande assise di ascolto, partecipazione e confronto sull’agricoltura. L’obiettivo è quello di definire un percorso che, partendo dalle difficoltà presenti, definirà le proposte di quel Paese in rapporto alle scelte nazionali e della Pac per il prossimo decennio.

Nel mese di dicembre il governo consegnerà al Presidente della Repubblica e al Parlamento le misure legislative da adottare per permettere lo sviluppo dell’agricoltura francese. Credo che in questo percorso non dobbiamo immaginare scorciatoie, semplificazioni ed “invasioni di campo”. Con questo voglio prioritariamente affermare che ogni soggetto deve svolgere fino in fondo il suo ruolo ed assumersi le responsabilità per i compiti assegnati. Alle organizzazioni professionali compete certamente il compito, così come afferma Di Lena, di adoperarsi per valorizzare l’agricoltura nella società e nelle scelte di governo dell’economia e, ancor di più, creare le condizioni per garantire agli agricoltori redditi adeguati e giusti in apporto alla capacità professionali e agli investimenti dedicati.

Non per una difesa di ufficio, ma ritengo molto sbrigativa e non veritiera l’affermazione che la Cia si sia caratterizzata negli ultimi anni solo per aver sviluppato la sua azione nel campo dei servizi e di aver rincorso la Coldiretti sui suoi temi. La verità, a mio modo di vedere, è diversa ed opposta. La Coldiretti in molti casi ha preso obiettivi e “parole chiave” da sempre presenti nelle proposte e nelle azioni della Cia amplificandole, portandole alla loro esaltazione e, in molti casi, banalizzandole. Qualità, tracciabilità, etichettatura, libertà d’impresa, ecc., appartengono alla storia della confederazione che rappresento. Ma così come ho prima affermato, da sole non sono sufficienti a garantire un giusto reddito agli agricoltori e la valorizzazione dell’agricoltura. Nella nuova e diversa realtà della società, dell’economia e dei mercati, oggi, più di ieri, la risposta per difendere e valorizzare l’agricoltura e per creare condizioni economiche e sociali accettabili e giuste per gli agricoltori, risiede nella creazioni delle condizioni di sviluppare le capacità relazioni e contrattuali con gli altri settori, dall’industria, al commercio e adoperandosi per rafforzare il legame inscindibile tra gli interessi delle attività agricole con quelli più generali dell’agricoltura.

La nuova e diversa realtà, i forti cambiamenti imposti agli agricoltori e le gravi difficoltà economiche e sociali nelle quali oggi vivono gli agricoltori, impone anche la scelta dell’unità d’azione tra le organizzazioni rappresentative degli agricoltori. Patto, unità e reddito sintetizzano la proposta politica e caratterizzavano l’azione della Cia. Patto con la società per esaltare il ruolo e la missione delle attività agricole, unità tra le organizzazioni professionali agricole e reddito giusto ed adeguato per gli agricoltori rappresentano l’obiettivo sul quale ci sentiamo impegnati e che riteniamo utile per garantire all’agricoltura un futuro.

Il nostro, è certamente un obiettivo ambizioso e, quindi difficile. Lo è ancor di più per le scelte sbagliate da parte della maggiore organizzazione professionale agricola italiana, la Coldiretti, che ha scelto l’autosufficienza, il populismo economico e in ultima analisi, ha scelto gli interessi dei consumatori e non dell’agricoltura e della società.

di Giuseppe Politi