Mondo Enoico 04/10/2008

La nuova frontiera, dealcolizzare il vino

Sul fronte enologico, ogni giorno una novità. Veder ridotta la gradazione alcolica di un vino non appare più né fantascienza né un tabù


Alcuni Stati europei hanno introdotto, come nuovo elemento di discussione, la dealcolizzazione del vino.
A occhi profani tale pratica, oggi, pare una stranezza visto che solo pochi mesi fa si discuteva animatamente se ammettere o meno lo zuccheraggio per l’aumento del titolo alcolimetrico.
Eppure oggi se ne discute. Perché? Se la pratica enologica dovesse essere introdotta, nelle aree del centro-nord d’Europa si potrebbe produrre un vino con un titolo alcolometrico minimo dell’8,5%. Non sorprende quindi la propensione verso tale pratica di Paesi come la Francia e la Germania, lascia certo più stupefatti la posizione della Spagna che sostiene che allo stato attuale della sperimentazione sia possibile arrivare a de-alcolizzare fino a tre gradi.

La pratica, che ricordiamo, ad oggi è ancora vietata, rappresenta un’assoluta novità nel panorama delle pratiche enologiche, tanto che neanche l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino ha pubblicato le specifiche tecniche per una corretta applicazione di tale procedura.

L’alcol e le altre sostanze sarebbero allontanate dal vino con una particolare apparecchiatura “spinning cone column” (una colonna a coni rotanti) che oltre ad allontanare l’alcol potrebbe alterare completamente anche il quadro aromatico. Si pone anche il problema di controllo sulla pratica in generale: che fine farebbe l’alcol sottratto? La sensazione, poi, è che la dealcolizzazione segua essenzialmente una logica di manipolazione industriale lontana dunque dall’approccio più tradizionale che ci contraddistingue dai produttori del Nuovo Mondo.

“Salvo qualche voce fuori dal coro, un po’ tutta la filiera é contraria a queste nuove pratiche enologiche – ha affermato a proposito della dealcolizzazione del vino il segretario generale dell’Unione italiana Vini (Uiv) Paolo Castelletti - Non si tratta di un problema di sicurezza alimentare, né del lancio di vini “Frankenstein”, ma di una pratica abbastanza nuova che ci allontana dall’idea di un prodotto naturale. I produttori del “made in Italy” vorrebbero che il vino resti maggiormente ancorato al territorio. E che sia frutto dell’uva”.

di Ernesto Vania