Editoriali 01/03/2008

La fuga del Made in Italy


Il sistema agroalimentare nazionale è florido, in salute, ha un’immagine vincente sui mercati internazionali, ma è sempre meno italiano.
Molti importanti marchi agroalimentari sono finiti nelle mani di multinazionali o di imprese straniere. Di per sé questo fatto non è una male. Se la nostra classe dirigente e imprenditoriale non è in grado di gestire proficuamente italianissimi brand, è giusto che siano altri manager, altri Board a farlo e a trarne ottimi guadagni.

Un campanello d’allarme, forte e chiaro, suona però quando le aziende agroalimentari, siano italiane o estere, vogliono cessare alcune attività produttive o cedere alcuni propri stabilimenti in Italia.
Il nostro Paese attrae pochi investimenti e sono diverse le multinazionali che hanno manifestato preoccupazioni per l’instabilità politica e le condizioni sociali e economiche in Italia.
In alcuni casi, come per la Coca Cola, tale apprensione si traduce in dichiarazioni e comunicati stampa, in altri nella chiusura o vendita di siti produttivi.
E’ il caso, recentemente, della Buitoni di Sansepolcro (AR) e dell’Algida di Cagliari.
Talvolta questi stabilimenti vengono acquisiti da altre aziende agroalimentari, una normale dinamica di mercato, ma la guardia va mantenuta alta.

Occorre vigilare perché questa fuga dall’Italia non rappresenti una fuga dal Made in Italy.

L’immagine del cibo e della gastronomia italiana nel mondo è trionfante, costruita attraverso un lungo lavoro di marketing e di promozione, e fondata, specie sui mercati emergenti, sui nostri grandi marchi.
Dopo il grande lavoro di penetrazione commerciale operata da brand quali i già citati Buitoni o Algida, italianissime piccole e medie imprese con prodotti di qualità e tipici hanno acquisito importanti quote di mercato, rafforzando l’immagine del Made in Italy a beneficio anche dei grandi marchi.
Un circolo virtuoso, una catena che però rischia di spezzarsi a causa della debolezza di uno dei suoi anelli.
Se, infatti, i grandi marchi sono sempre meno italiani, non solo perché in mani straniere ma anche a causa della delocalizzazione delle produzioni, fino a quando l’immagine del nostro Made in Italy agroalimentare resterà vincente?

di Alberto Grimelli