Cultura 31/01/2004

“EROS E BOTANICA”. OVVERO LA SESSUALITA’ E LE FORME ALLUSIVE DEL MONDO VEGETALE

E’ stato un libro di un accademico – che a parte il fuorviante titolo non ha “nulla di morboso” – ad averci stimolato a ricercare oltre. Abbiamo perciò individuato altrove alcune godibilissime citazioni a sfondo erotico. Le proponiamo a beneficio di chi ci legge, con in chiusura un’ode a una “bella tettina”


Francesco Corbetta, titolare della cattedra di Botanica ed Ecologia applicata presso l’Università dell’Aquila, ha pubblicato un curioso volume dal titolo Eros e botanica per le edizioni Edagricole. Più esplicito il sottotitolo: La sessualità e le forme allusive del mondo vegetale. Un sasso lanciato nello stagno, un’occasione per aprire gli occhi e manifestare un vivo interesse verso un tema non sempre posto in chiara evidenza. Già, è proprio in questo modo che assai furbamente il cattedratico ha scelto titolo e sottotitolo accattivanti per lanciare un libro che avrebbe senza dubbio riscontrato una minore attenzione, nonostante la sicura competenza dell’autore per la materia trattata. Così infatti l’avvertimento riportato in quarta di copertina: “Non ci si lasci fuorviare dal titolo, che va interpretato alla lettera, pensando alla botanica come scienza, e all’eros per quello che è. Nulla, dunque, di morboso od erotico, ma un serio tentativo di fare divulgazione e didattica evocando immagini e situazioni che meglio si prestano ad essere fissate nella mente e nella memoria”. Quale controproposta per colmare le vistose lacune del testo di Corbetta, presento invece un libro che sull’argomento eros approfondisce e divaga con grande efficacia e precisione di particolari. Gli autori sono i giovani Valter Boggione e Giovanni Casalegno. Il titolo del loro fortunato volume è Dizionario storico del lessico erotico italiano, pubblicato per le edizioni Tea (1999). I due, oltre ad aver curato la stesura di un tale prezioso libro, sono oltretutto collaboratori del Grande dizionario della lingua italiana della Utet, ovvero del più noto “Battaglia”.

Sono molte, nel volume di Boggione e Casalegno, le metafore mutuate dal mondo vegetale. Tante, e quanto mai curiose, le analogie con forme riconducibili in gran parte alla simbologia fallica. Il banano per esempio, da cui uno stralcio tratto dall’Ifigenia (I, 28): “La lingua sapiente e l’agile mano / dan gioia e sollievo al duro banano”. O il cacchio – ovvero il getto infruttifero di una pianta coltivata che in molte situazioni ricorre come variante occultativa e parafonica di “cazzo” – voce impiegata per lo più quale interiezione, per esempio da Carlo Emilio Gadda nell’Adalgisa: “della società non glie ne importa un cacchio”.
Non solo le piante, anche i frutti, in ragione della loro forma, o per il colore, o per la proprietà di emettere succo, sono fonte di frequenti analogie. E’ curioso tra l’altro come dalla parola ghianda sia poi derivata l’accezione di “glande”, dal latino glans glandis. Molte, oltretutto, le citazioni al riguardo. A iniziare dall’Aretino, in Piacevol ragionamento: “Gli misi la mano destra sopra, di sotto appresso il ventre, e l’altra sopra che vi avanzava la ghianda tutta”.

Oppure, un altro curioso riferimento riguarda l’oliva, a cui in senso metaforico rimanda per la somiglianza con il glande e per la proprietà di produrre olio. Da qui dunque Lorenzo de’ Medici, in Rime dubbie: “Ciascun di noi ha la sua masserizia: / in punto, bene e con assai letizia / compiam nostr’opra e dell’olio a dovizia / sappiam di nostre ulive cavar fuori / … / Se voi aveste, o donne, a macinare / ulive in quantità per olio fare, / siate contente volerci provare”.
Oppure ancora il cappero, parafonia di “cazzo”, da cui l’Aretino, in Sei giornate: “Madonna, forbitevi il naso e poi odoratemi il cappero”.
Non mancano i continui riferimenti ai cetrioli, oggetto di attenzione da parte di Lorenzo de’ Medici, in Canzone carnascialesche: “”Cetrioli abbiamo e grossi, / di fuor pur ronchiosi e strani; / paion quasi pien di cossi, / poi sono apritivi e sani; / e’ si piglion con duo mani: di fuor lieva un po’ di buccia, / apri ben la bocca e succia; / chi s’avvezza, e’ non fan male”.

L’elenco di citazioni potrebbe continuare all’infinito, ma alcune di queste, esemplificative, sono state determinate con la chiara intenzione di opporre in maniera ferma il disaccordo con un titolo che lo stesso autore definisce “fuorviante”, ovvero: Eros e botanica. Così, candidamente o no, avverte l’autore nell’introduzione: “Mi spiacerà molto, lo confesso subito, sinceramente, per chi, leggendo il titolo, sarà corso ad acquistare il libro pensando a chissà che di straordinariamente morboso ed erotico…”. Già, sono soltanto gli ultimi tre capitoli, dei tredici complessivi, a trattare le forme allusive, i voluttuosi profumi e le piante ad azione afrodisiaca; ma con scarsa efficacia. Perché, con il pretesto del titolo, il lettore si sorbirà invece una lezione di biologia generale e un percorso guidato sulla sessualità un po’ anomala del mondo vegetale, dalle alghe ai funghi, dai licheni alle briofite, dalle pteridofite alle spermatofite, dalle gimnosperme alle angiosperme. Si tratta dunque di un libro da non comperare, anche per punire un autore che ha sì all’attivo circa duecento pubblicazioni scientifiche e altrettante di carattere divulgativo, ma che non ha comunque uno stile brillante al punto da rendere piacevole la lettura. Troppa retorica e falso pudore in alcune sue formulazioni terribilmente inattuali. Così peraltro scrive: “Mi censuro giacché non vorrei sconvolgere troppo chi mi tiene compagnia: l’amico Asplenium che ancora non è ben abituato al mio linguaggio talvolta (forse) un po’ crudo o qualcuno dei miei futuri 4 o 5 lettori (Enzo P. incluso)”. E più avanti i lettori dichiarati diminuiscono: “Come sicuramente è già noto alla massima parte dei miei 3 o 4 lettori (compreso Enzo P. che lo fa per ricompensa) ricordo che le Spermatofite si suddividono in due ulteriori categorie: …”.
Il Corbetta ama citarsi in più occasioni e alterna al linguaggio scientifico quello scherzoso da pic-nic di cinquant’anni fa. Quando si sofferma sui fiori di una pianta denominata Ginko, riferisce con toni melliflui della presenza di “due corpiccioli che a me, sarò morboso, ma fanno l’impressione di un bel paio di seni femminili. Per inciso molto ben fatti! Ma anche quelli di Cycas circinalis non scherzano!”. E qui il lettore dovrebbe piegarsi dalle risate. Più avanti confida al lettore che “se si parlasse, anziché di Orchidee, di… Testicolacee… tutti farebbero un sobbalzo e molte signore, forse, arrossirebbero (con notevole sforzo, ben si intende… giacché, come sarcasticamente e fallocraticamente dice il Panzini, ‘il pudore delle Signore lo hanno inventato gli Uomini!). Ma Ada no: quella arrossirebbe con grande facilità (normalmente anche per molto meno…)”.

Poche pagine più avanti il Corbetta cerca di rendersi più simpatico ai suoi tre, quattro o cinque lettori. E si interroga: “La racconto? Non la racconto? Ma sì, la racconto. Un signore, la cui moglie non è particolarmente né affettuosa né disponibile, va allo zoo. La signora si avvicina un po’ troppo alla gabbia del gorilla. Questo la afferra, la attira a sé e velocemente cerca di denudarla e possederla. La signora strepita e invoca il marito: ‘ma insomma, fai qualcosa. Non startene lì impalato!’. Il marito, glaciale: ‘prova a dire anche a lui che hai mal di testa’…”.
Non pago, il Corbetta si dilunga in un’altra storiella su uno scambio di coppia, tra umani ed extraterrestri. Alla fine conclude con una ‘morale della favola’ da far “scompisciare” (sic!) dal ridere: “Credo, anzi, che qualche goccia di pipì gli sia scappata!”. Cosa possiamo farci? E’ questo il linguaggio di Corbetta, genuino e un po’ puerile.

Ma ecco, per concludere in bellezza, “La bella tettina”, una poesia di Clément Marot, nella splendida traduzione di Maurizio Cucchi, contenuta in Lodi del corpo femminile. Poeti francesi del Cinquecento tradotti da poeti italiani (Mondadori, 1984):

Tettina ben messa, più bianca di un uovo,
Tettina di bianca seta nuova:
Fai vergognare la Rosa…
Tettina più bella di ogni altra cosa,
Dura tettina, nemmeno tettina
Ma piccola sfera d’avorio, in cima,
Seduta, hai una fragola scura
O, può darsi, una ciliegina
Che non si vede, che non si tocca
Ma, ci scommetto, è proprio così;
Tettina: è rossa la piccola punta,
Tetta, tettina che non si muove
Né per venire, né per andare,
Nemmeno per correre, o ballare,
Tetta mancina, tettina leggera,
Tettina lontana dalla sua compagna,
Tettina che dici davvero bene
Di tutto il resto del personaggio.
Solo a vederti, per molti, si agita
Una gran voglia dentro le mani,
Un po’ di tastarti, un po’ di tenerti,
Ma trattenersi dall’avvicinarti
Com’è necessario a non farsi afferrare
Da un’altra voglia pericolosa!
O tetta non grande né piccolina,
Tettina matura, tettina di voglia,
Tettina che gridi la notte e il giorno:
Sposatemi, presto, sposatemi!
Tettina ti gonfi e spingi via
Il velo sottile che ti protegge.
A buon diritto felice si dica
Lui, che di latte ti colmerà:
Tettina fanciulla diventerai
Tettina adulta di donna bella.

di Luigi Caricato