La voce dei lettori 21/01/2006

INTORNO ALL'ACQUISIZIONE DI CARAPELLI

Ci scrive Alessio Tambone: "Gli oleari italiani avevano trovato un giochino che remunerava molto perchè compravano a poco e rivendevano a tanto senza investire nella produzione trovando l'olio pronto solo da imbottigliare con la loro bella etichetta made in Italy. Gli Spagnoli invece..."


Cordiale Sig. Luigi Caricato,

Le scrivo in merito al Suo articolo sull'acquisizione di Carapelli Spa da parte della Sos Cuetara.
Per prima cosa mi presento, sono Alessio Tambone, un romano di 32 anni trapiantato in toscana dove ho avuto modo di apprezzare ed appassionarmi all'olio di oliva.
E' in dubbio che l'Italia abbia perso la titolarità di due importantissimi marchi oleari. Ma la cosa più grave è che questo è solo l'ultimo filo di una ragnatela tessuta negli anni: perchè nessuno dice che la titolarità dell'olio utilizzato per confezionare quei due marchi, probabilmente, se non in tempi remoti, non ci è mai appartenuta.

Una volta eravamo i più grandi produttori di olio di oliva poi abbiamo cominciato ad andare in Spagna (Grecia, Tunisia ecc...) e abbiamo iniziato a rastrellare le loro produzioni. Nel tempo però gli oleari spagnoli unendosi in cooperative, investendo bene i loro guadagni in impianti di produzioni, hanno preso in mano il mercato mondiale dell'olio e da un paio di anni a questa parte con l'entrata in borsa dell'olio, hanno iniziato a speculare su un prodotto che dovrebbe essere di prima necessità, alzando i prezzi quanto vogliono. Inoltre riconoscendo l'impossibilità di portare il made in Spain ai livelli del made in Italy hanno deciso di impadronirsi del punto di forza di tutte le aziende: la commercializzazione. E quindi non fanno altro che rilevare le aziende italiane. Ma lo fanno forti della produzione che hanno alle spalle. Gli oleari italiani avevano trovato un giochino che remunerava molto perchè compravano a poco e rivendevano a tanto senza investire nella produzione trovando l'olio pronto solo da imbottigliare con la loro bella etichetta made in Italy. Gli Spagnoli invece hanno continuato ad investire, a produrre e sono arrivati al punto di aumentare il costo dell'olio mettendoli così fuori dall'attuale mercato e comprando aziende italiane guadagnano tutto quello che un tempo guadagnavano gli oleari italiani.

La mia personale posizione è che Italia dell'olio è frazionata in troppi operatori, produce sempre meno e quello che produce lo vende in quantità massiccie sfuso anche in Spagna.
L'Italia deve ripartire dalla produzione, cosa difficile visto il finto tenore che continuiamo a condurre. Ma la strada è unica è necessario ammodernare gli oliveti, chiaramente la dove è possibile tenendo presente le problematiche morfologiche, è necessario creare delle cooperative di produzione appoggiate dal Mipaf, cercare il più possibile un aiuto nelle istituzioni per sviluppare un piano di recupero della produzione e soprattutto della tutela dei ns. prodotti. in merito a quest'ultimo punto Le faccio notare come al Cibus 2004 la Corporazione dei Mastri Oleari nella categoria medio fruttato ha premiato un olio cileno. Durante una manifestazione alimentare in Francia pensa che sarebbe mai stato premiato un vino italiano? e per di più nella categoria più importante?

Come ha detto Lei tutti tacciano su questa acquisizione ma Le diro anche però che chi parla, ha un comune denominatore: criticare qualcuno o qualcosa, senza lasciare traccia di spunti di riflessione che indichino una possibile strada da cui ripartire.

Io credo che oltre alla produzione bisogna partire dai consumatori.
I consumatori devono essere istruiti. Basta con la politica del sottocosto da parte della Grande Distribuzione, basta con l'olio specchietto delle allodole. Il prezzo medio dell'olio italiano, così come quello dei prodotti di prima necessità deve essere notizia da tg di tuttti i giorni. Sicuramente esagero ma non si può pensare che nei supermercati venga ancora venduto 1 lt. di olio a Euro 2,90 compreso iva. e al bar 4 caffè costano 3,20!!!!!! Non si può pensare nel 2006 che in quasi tutte le etichette di olio presente nei supermercati non ci sia scritto praticamente nulla sulla provenienza del prodotto!!!!!! Chi come il consumatore legge senza conoscere le definizioni e cosa vogliano realmente dire è portato a credere che l'olio di oliva sia migliore dell'extra vergine perchè l'Ufficio della Repressione Frodi ha definito il primo olio di oliva "raffinato" e la gente pensa a qualcosa di eccelso. Ma l'etichetta non dovrebbe dare delle delucidazioni a chi non è informato? O si parte dal presupposto che tutti sono esperti di tutto?

Relativamente a tale acquisizione mi permetta due considerazioni: per prima cosa la preoccupazione più grande la vedo in termini di posti di lavoro. Nella logica a medio termine è forse più conveniente per la Sos un conto lavorazione presso qualche stabilimento oleario italiano che tenere a libro paga una miriade di dipendenti (operai) come quelli della Carapelli. In tal modo da azienda la Carapelli si trasformerebbe in un semplice ufficio commerciale.

Seconda mia personalissima considerazione che forse è fantascienza ma oggi sembra che la fantascienza sia più normale della realtà: il mercato oleario dei marchi italiani punta verso il monopolio. Se infatti oggi le quote di mercato vedono la Sos detenere circa il 19, 7% (il 13,7% Carapelli + 6% Sasso tramite Minerva Olii), Bertolli 17,5% e Monini 9%, visto il malcontento di Uniliver che vede ridursi l'utile della Findus per coprire i pessimi risultati di Bertolli, è pensabile che una multinazionale come loro decida, qualora si presenti un'offerta interessante, pensare alla cessione del ramo che appesantisce il bilancio della Holding.

Mi scusi per il lungo sfogo, ma da Lei, quale scrittore e direttore di www.teatronaturale.it, mi aspetto oltre le critiche anche una strada da seguire per far riemergere l'olio italiano dal baratro in cui sempre più sta sprfondando.
Cordiali saluti
Alessio Tambone


Grazie per la preziosa testimonianza. Ora aspettiamo, spero, altri punti di vista per poi trarre le dovute conclusioni. La situazione generale è molto complessa e la mancanza di progettualità in Italia si sta già iniziando a pagare a caro prezzo.
Le soluzioni ci sarebbero, ma prima di enuclearle, occorre essere certi che si voglia concretamente compiere una svolta radicale.
Il cambiamento implica l'abbandono delle tristi logiche che hanno infestato gli ultimi cinquant'anni, di totale inedia e di inconcludenti propositi.
In parte su "Teatro Naturale", e in parte su altre testate dove firmo rubriche sul tema dell'olio, ho fornito alcune soluzioni per non sprofondare ulteriormente nel baratro.
Il primo passo da fare? De-politicizzare e de-sindacalizzare il comparto olio di oliva.
Ci vogliono uomini nuovi, ma prima di tutto occorre che si faccia un po' di pulizia. Tra coloro che hanno imperversato sottraendo energie importanti e vitali, occorre individuare i responsabili dell'attuale degrado e far loro pagare, in prima persona (e non lo dico con spirito da giustiziere, sia chiaro), i danni resi al Paese.
In che modo devono pagare?
Restituendo intanto il maltolto.
Dove sono andati a finire i milioni e milioni di euro di finanziamenti?
Lei non immagina quanto spreco di risorse ci sia stato.
Gli spagnoli dall'Unione europea hanno avuto e realizzato.
Noi abbiamo avuto e sperperato e dilapidato, fallendo miseramente.
E ora, dopo la denuncia, dopo le critiche, lei giustamente dice, "cosa fare?"
Io le soluzioni ce l'ho e sono pronto ad agire e a fare la mia parte. Solo che il Ministero alle Politiche agricole ignora me e chi, come me, ha le risposte giuste per risalire la china. Come sempre, tutto avviene secondo logiche e criteri senza respiro e spessore.

Luigi Caricato


di T N