Articoli 05/02/2005

VIVIAMO PER DAVVERO NEL PAESE DEI MAMMONI?

La tendenza ad allungare il distacco dalla “casa paterna” non sempre è una scelta, spesso si tratta di un’esigenza dettata dalle difficoltà attuali. Il “Rapporto Italia 2005”, presentato lo scorso 28 gennaio da Eurispes, conferma una tendenza divenuta oramai fenomeno sociale. Si estendono i tempi di permanenza dei giovani presso la famiglia di origine


L’Italia: il “paese dei mammoni”. È ormai una teoria diffusa, anzi, molto diffusa, e non solo all’estero. Ma è davvero così?
I giovani rimangono ormai per un tempo sempre maggiore a casa dei genitori, le cause però sono molteplici ed infatti, non sempre, è solo e realmente una scelta.
Di recente, anche il “Rapporto Italia 2005”, presentato lo scorso 28 gennaio, a Roma, dall’Eurispes, ha confermato questo dato di tendenza, che diviene dunque un fenomeno sociale su cui tanto riflettere.
È il fenomeno della cosiddetta “posticipazione”: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo.
Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi.
L’età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent’anni nelle ultime generazioni.
Uno degli aspetti maggiormente caratterizzante la realtà italiana è la prolungata permanenza dei giovani presso la famiglia di origine, che rappresenta un’ulteriore conferma del fenomeno della posticipazione.

Nel 2001, il 60,1% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive insieme ad almeno un genitore, con un aumento di circa il 5% rispetto al 1993.
Il fenomeno investe più gli uomini (dal 62,8% del 1993 al 67,9% del 2001) che le donne (dal 48% del 1993 al 52,1% del 2001). L’uscita dalla famiglia di origine viene quindi rimandata soprattutto dagli uomini.
Le maggiori differenze di genere si riscontrano a partire dalla fascia d’età 25-29 anni. Infatti, sono i ragazzi a vivere, nel 72,7% dei casi, con i propri genitori contro il 51% delle ragazze; in seguito le differenze si fanno ancora più marcate: tra 30 e 40 anni il numero dei ragazzi, che non hanno ancora lasciato la famiglia di origine, è il doppio rispetto a quello delle ragazze (36,5% contro il 18,1%). A prolungare la permanenza nella famiglia di origine sono soprattutto i giovani studenti (98% per i maschi e 92,9% per le femmine) e i giovani alla ricerca del primo lavoro (81,2 % per i maschi e 69,6 % per le femmine) e, questo, non è di certo un caso.

La difficoltà primaria, che ne è del resto anche causa, è il fatto che si raggiunge sempre più tardi l’indipendenza economica e ancor più di rado la sicurezza lavorativa.
Per coloro che “un lavoro l’hanno già trovato”, tale percentuale è più bassa, ma non meno rilevante: il 56% degli occupati maschi vive ancora in famiglia contro il 44,3% delle occupate.
Certamente legato alla “sindrome da posticipazione”, il matrimonio, viene oggi sempre più rinviato da parte delle giovani generazioni. A dimostrarlo è l’età media in cui si affronta il matrimonio, che si è alzata soprattutto per la donna, passando da 24 anni nel 1960 a 28 nel 2001.
Non solo ci si sposa più tardi, ma anche di meno. Infatti, il numero di matrimoni celebrati nel 2003 è stato pari a poco più della metà di quelli celebrati nel 1971.

L’Eurispes ha dichiarato, nel “Rapporto Italia 2005”, che si riscontra una generale sfiducia nell’istituto del matrimonio. Gli uomini e le donne del terzo millennio appaiono al riguardo spesso scettici e disincantati, anche in seguito ad una “nuova” paura: sono spesso figli, essi stessi, di genitori separati o divorziati.
L’Italia è oggi un paese con un alto tasso di precarietà riguardo all’occupazione.
Ci chiediamo, dunque, come ci si può sposare o raggiungere l’indipendenza dal nucleo d’origine, se manca la sicurezza economica per costruirsi una famiglia?

Si dice che non ci si vuole allontanare dal “tetto paterno”, ma in molti casi, bisogna riflettere sul fatto che, non è un volere, ma una difficoltà reale e purtroppo dilagante.
La sicurezza e la fiducia in un futuro autonomo vanno affievolendosi, dato che non si vede ancora spiraglio di miglioramento, anzi tutt’altro.
È lo stesso Eurispes a confermarlo e che titola il capitolo riguardante l’occupazione giovanile, così: “Giovani sull’orlo di una crisi di nervi: quale flessibilità?”

Circa la metà della nuova occupazione, in gran parte giovanile, è atipica e per la prima volta nel nostro Paese i nuovi lavoratori portano i caratteri di una precarietà e di una incertezza che di fatto non trovano sostegno nel sistema previdenziale, né in quello creditizio né in quello professionale. Dall’introduzione della “Legge Biagi”, ben 61 collaboratori coordinati e continuativi su 100, anziché accedere ad una maggiore stabilità contrattuale, sono diventati “lavoratori a progetto”. L’incertezza del posto di lavoro è lamentata dalla stragrande maggioranza dei lavoratori “atipici” (73,1%). Ben il 68,6% di essi si ritiene insoddisfatto del proprio contratto, mentre il 72,3% ritiene di non essere garantito in materia di tutele sociali. La flessibilità incide anche sulla capacità di progettare il proprio futuro: il 71,3% dei lavoratori afferma che il fatto di essere un “atipico” ha condizionato negativamente la possibilità di comprare una casa ricorrendo ad un mutuo.

Tra quanti ritengono che al termine della propria vita lavorativa avranno una pensione inesistente, circa il 40% è già ricorso ad una pensione integrativa o esprime l’intenzione di farlo.
Come invogliare la generazione dei precari o di coloro che hanno difficoltà ad avere una sistemazione sicura, a crearsi un’indipendenza socio-economica, o meglio su quale base ed in relazione a quali criteri, si dovrebbero invogliare i giovani a fare famiglia?
Quale prospettiva di futuro dovrebbero vedere?

Non sta a noi dare delle risposte, qui si vuole sottolineare l’altra faccia di una medaglia che inclemente si mostra alle giovani generazioni del “Terzo Millennio”, ma di cui spesso, anziché meditare sulle possibili azioni per alleviare il problema esistente, se ne fa oggetto d’accusa.
È facile dire: “oggi nessuno ha intenzione di fare famiglia…”, ma ci si chiede mai perché?...ci si chiede mai se è veramente una scelta…?

di Ada Fichera